Le acque di Noè Pubblicato il 29 Ottobre, 2024

Quando i problemi e le difficoltà della vita sembrano sommergerci, così come le acque del diluvio coprirono la terra, possiamo rifugiarci nell'arca, nelle parole della Torà e della preghiera. Quegli stessi problemi, allora, invece di ostacolarci, diventeranno il mezzo che ci consentirà di elevarci.  

arca_di_noe[1][1]La prima cosa che D-O creò (vedi commento di Rashi ai primi versi della Genesi) fu l’acqua. “E la terra era informe e desolata, vi era l’oscurità sulla superficie dell’abisso e lo Spirito di D-O aleggiava sulla superficie delle acque……fu sera e fu mattina, un giorno.”  Questo fu il giorno di maggiore rivelazione Divina nel mondo, come dice Rashi: “…poiché il Santo Benedetto Egli sia era l’unico Essere nel mondo”; ‘un giorno’, quindi, significa qui ‘il giorno dell’Uno’.

La Chassidùt spiega, che lo Spirito di D-O, che aleggiava sulle acque, era lo spirito di Moshiach. Quando poi le acque del diluvio copersero tutta la terra, vedendole, HaShem ne ebbe piacere, perché ricordò quel primo giorno, Moshiach che verrà. Quale è il legame fa le acque del diluvio e Moshiach? Cosa fu il diluvio? Le acque che scesero sulla terra per quaranta giorni, ricordano, con questo numero, la quantità di acqua piovana, che un ricettacolo deve contenere, per poter essere utilizzato a scopo di purificazione (mikvè). Non, quindi, acque di distruzione, ma acque di purificazione. Prima del diluvio non esisteva l’arcobaleno. Il mondo, infatti, era così grossolano, che i raggi del sole non potevano penetrare le nuvole e rifrangersi. Dopo il diluvio il mondo era così puro, da permettere il fenomeno dell’arcobaleno. HaShem guarda l’arcobaleno e dice: “Ecco, il mondo è purificato. Ora Moshiach potrà arrivare.” Si dice che quando si vedranno i colori dell’arcobaleno molto chiari, Moshiach arriverà subito.

Nell’haftarà dello stesso Shabàt, in cui si legge la parashà di Nòach (Noè), HaShem promette che non ci sarà più un diluvio, e lo chiama: “mei Nòach”, le acque di Noè. Il mabùl (diluvio) allude, con il suo stesso nome, al bilbùl (confusione) del mondo, e cioè ai problemi, che insorgono nella vita, alle difficoltà materiali ed economiche, alla mancanza di tranquillità interiore. Nòach (Noè) contiene nel suo nome, il concetto di tranquillità, di serenità, di riposo. Mabùl – Nòach, confusione – tranquillità, sono termini in appariscente contraddizione. Come mai compaiono insieme?

Il mabùl sono i problemi che ci sommergono, ma nella difficoltà possiamo trovare salvezza nell’Arca (Tevà) di Noè. La Tevà, secondo il Baal Shem Tov, sono le lettere della Torà e della tefillà. Da ciò sembrerebbe che si dica: – C’è il mabùl, c’è difficoltà? Scappa nelle Torà!- Proprio la Torà, però, racconta che la quantità di acqua che cadde  sulla terra fu tale, da permettere all’Arca non solo di galleggiare, ma anche di venire sollevata ad una grandissima altezza, tanto da avvicinarsi al cielo. Le lettere della preghiera (Tevà), cioè, vengono elevate di grado, proprio grazie alle difficoltà ed ai problemi (mabùl), che si devono affrontare.

Per capire meglio il collegamento che viene fatto, nell’accostamento ‘mei Nòach’, fra le difficoltà (le acque del mabùl) e la tranquillità, il riposo (Nòach), vediamo il concetto di riposo, che caratterizza lo Shabàt. Cinque cose sono chiamate Shabàt: lo Shabàt stesso, il talmìd chachàm, la shmità, Moshiach, e la tefillà (preghiera). Il comune denominatore fra di essi è il ‘riposo’, inteso come l’allontanamento dalla materialità e l’avvicinamento alla spiritualità. A questo ‘riposo’ si arriva con il mabùl. Esso infatti provoca un tefillà più alta, un maggiore livello spirituale. Quale tefillà, infatti, è più cara ad HaShem? Quella dell’uomo d’affari, che non ha tempo e riesce a malapena a pregare per mezz’ora, o quella di chi passa la sua vita nella preghiera e nello studio? Proprio perché così occupato nelle cose di questo mondo, la mezz’ora che l’uomo d’affari, staccandosi da tutto, dedica alla tefillà viene da una sete spirituale tale, da renderla, appunto, più cara ad HaShem. Il vedere come, in verità, il bilbùl del mondo sia un aiuto alla nostra elevazione, ci permette di starvi davanti con forza, di utilizzarlo per il suo vero scopo, di non farci mai abbattere. Ciò ci dà la gioia, che porta con sé la forza di rivelare la verità nascosta del mabùl. Questa rivelazione è già Moshiach!

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