Le primizie come paragone della vita Pubblicato il 18 Settembre, 2024
La grande discesa dell’anima in un corpo è perché a ciò segua un’elevazione. E questa elevazione si realizza proprio grazie ai precetti pratici, che vengono compiuti dal ‘recipiente’ – il corpo.
“E le metterai nella cesta”
La parashà Ki Tavò inizia parlando del precetto delle primizie. Le primizie venivano portate in recipienti che le dovevano contenere, come è scritto: “E le metterai nella cesta… E il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani” (Devarìm 26:2-4) In genere, le primizie venivano portate in cesti di vimini ed anche questi cesti venivano lasciati al sacerdote. Vi sono persino alcune regole concernenti il precetto delle primizie, dalle quali si può pensare che anche la consegna dei cesti al sacerdote fosse parte integrante del precetto. In ciò si potrebbe vedere una contraddizione: le primizie sono la parte più scelta dei frutti. Essi provengono solo dalle sette specie per la quale la Terra d’Israele è lodata e anche riguardo alla loro qualità, è detto: “Non dai datteri delle montagne e non dai frutti delle valli, ma dai datteri delle valli e dai frutti delle montagne, essendo questi i più scelti”. D’altra parte, essi devono essere portati proprio in dei cesti che, in genere, sono fatti di
materiale molto semplice e povero.
I frutti come l’anima
Qui si trova celata un’allusione profonda a ciò che riguarda la discesa dell’anima nel corpo. Le primizie dei frutti rappresentano l’anima; il cesto rappresenta il corpo, del quale l’anima si veste. La consegna delle primizie al sacerdote simbolizza lo scopo stesso del vestirsi dell’anima in un corpo. Le primizie, in generale, alludono al popolo d’Israele, come è detto: “Come fichi primaticci ho prediletto i vostri padri” (Hoshèa 9:10). Per essere più precisi, le primizie alludono alle anime d’Israele, come esse sono in alto, alla loro origine prima. Secondo ciò, le primizie rappresentano l’anima Divina, che si trova al di sopra del mondo fisico.
Il cesto come il corpo
L’anima Divina scende però proprio qui, in questo basso mondo e si riveste di un corpo fisico, che diviene il ‘recipiente’ per l’anima. Questo ‘recipiente’ imprigiona l’anima, le rende difficile esprimere il suo legame con D-O e riesce anche a celare la sua vera volontà. Si ripresenta quindi la stessa domanda: cosa hanno a che fare le ‘primizie’, così pregiate, con un ‘recipiente’ così semplice? Perché l’anima così elevata e pura deve scendere e ritrovarsi proprio in un corpo fisico che la costringe e la limita?
Elevare la materia
La risposta la si trova nel detto: “Questa discesa è al fine di una elevazione”. La grande discesa dell’anima in un corpo è perché a ciò segua un’elevazione. Proprio grazie alla discesa e al suo fronteggiare tutte le difficoltà del mondo materiale, l’anima rivela la sua vera essenza, ed essa arriva ad un livello ancora più alto di quello in cui si trovava prima di scendere in basso. Questa elevazione si realizza proprio grazie ai precetti pratici, che vengono compiuti dal ‘recipiente’ – il corpo. Sentimenti elevati di amore e timore per D-O, l’anima li sentiva anche prima della sua discesa. La nuova possibilità che si è creata tramite la sua discesa, è che essa può compiere precetti materiali, che comportano azioni concrete, fisiche. Ed è proprio questo lo scopo: elevare la materialità e fare di essa un recipiente per la santità. Allo stesso modo, lo scopo non è nei frutti di per sé, ma proprio nei frutti contenuti in un semplice ‘cesto’. Questo è il vero compimento del precetto delle primizie, e questo è lo scopo della vita in questo mondo.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 29, pag. 145)