L’Ebreo – “un miracolo vivente” Pubblicato il 20 Marzo, 2024

L’affetto immenso che D-O prova per ogni Ebreo è un affetto che non dipende assolutamente dalle sue azioni o dal suo comportamento. Da qui noi dobbiamo imparare quanto noi dobbiamo amare ogni Ebreo e giudicarlo favorevolmente.

“E chiamò Moshè” (Vaikrà 1:1)
Il Libro Vaikrà, il terzo del Pentateuco, che tratta delle leggi riguardanti i sacrifici, inizia con D-O Che chiama Moshè: “E chiamò Moshè”. Il commento di Rashi in proposito spiega che ‘chiamò’ è un’espressione di affetto: D-O convoca Moshè con affetto. La Chassidùt fa notare inoltre che non viene nominato qui chi chiama, e questo è un segno che un tale appello d’affetto proviene dall’essenza stessa di D-O, che è più elevata di qualsiasi Suo nome o appellativo. D-O Stesso, nella Sua forma più elevata, convoca Moshè con affetto! Noi sappiamo che in ogni Ebreo vi è una scintilla dell’anima di Moshè Rabèinu. Da ciò si comprende che questo appello di D-O viene rivolto con affetto, di fatto, ad ogni Ebreo. Il Santo Stesso, benedetto Egli sia, ‘in persona’, chiama ogni Ebreo con affetto e gli insegna ‘l’ordine’ dei sacrifici (korbanòt, associato al significato di avvicinamento) da portare, l’ordine, cioè, secondo il quale l’uomo ha la possibilità di avvicinarsi a D-O.

Il popolo di D-O
Tutto ciò si trova espresso anche dall’haftarà che viene letta (nella maggior parte degli anni) dopo la parashà Vaikrà. L’haftarà inizia col verso: “Questo popolo l’ho formato per Me, affinché proclami le Mie lodi” (Isaia 43:21). Una simile dichiarazione esprime anch’essa l’immenso affetto che D-O prova per il popolo Ebraico. Dalla lettura del verso, sembra che la prima parte (“Questo popolo l’ho formato per Me”) esprima la qualità essenziale del popolo d’Israele, mentre la seconda (“affinchè proclami le Mie lodi”) si riferisce alle azioni dei Figli d’Israele, la cui preghiera, Torà e precetti divengono lode per D-O. Se ci si attiene, però, alla formulazione evidente del verso, esso ci insegna che non si tratta di qualcosa che dipende dalla loro volontà o scelta, ma piuttosto di un diverso tipo di ‘lode’, una lode che proviene dall’esistenza stessa del popolo d’Israele.

La lode di D-O
La prima parte del verso descrive l’essenza fondamentale del popolo d’Israele: “Questo popolo l’ho formato per Me”. Il popolo d’Israele è il popolo del Santo, benedetto Egli sia, e tramite il popolo D-O è fatto Re, poiché “non c’è re senza popolo”. L’Ebreo, nell’essenza stessa del suo esistere, è il popolo del Santo, benedetto Egli sia, e D-O lo formò per Se Stesso. In seguito, D-O aggiunge un’ulteriore lode: il popolo Ebraico, grazie al semplice fatto di esistere, proclama le lodi di D-O. Il solo fatto di per sé che il popolo Ebraico sia vivo ed esistente, nonostante esso sia come una pecora fra settanta lupi, mentre molti altri popoli grandi e forti sono ormai scomparsi e non esistono più, questo solo fatto, di per sé, è una lode di D-O. L’esistenza stessa dell’Ebreo narra la lode di D-O.

L’ultima generazione
Tutto ciò assume un significato particolare nelle nostra generazione, dopo la tremenda distruzione che ha colpito il popolo Ebraico proprio nell’ultima generazione. Ed ora, quando vediamo un Ebreo vivo e vegeto, che continua a tramandarsi e dà vita ad una nuova generazione Ebraica, questo è un miracolo vivente di D-O: “proclameranno la Mia lode”. Da tutto ciò si comprende l’affetto immenso che D-O prova per ogni Ebreo, un affetto che non dipende assolutamente dalle sue azioni o dal suo comportamento. Da qui noi dobbiamo imparare quanto noi dobbiamo amare ogni Ebreo e giudicarlo favorevolmente. Ed anche quando si rende necessario risvegliare l’Ebreo, affinché si avvicini di più alla Torà ed ai precetti, ciò va fatto con il massimo amore ed affetto, con rispetto e con considerazione, in quanto si tratta del popolo che “ho formato per Me, affinché proclami le Mie lodi”.
(Da Sefer haSichòt, 5750, vol. 1, pag. 378)

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