L’esilio cresce dall’importanza che si dà al mondo. Pubblicato il 19 Agosto, 2024
Il deserto allude all’esilio nel quale si trova il popolo d’Israele, immerso fra le nazioni. La Torà ci dice che vedere il deserto come “grande” è la causa prima dell’esilio. Quando noi consideriamo le nazioni ed il mondo che ci stanno intorno come più grandi del popolo d’Israele, creiamo in questo modo la possibilità che il mondo ci domini.
“Un deserto grande e terribile, (luogo di) serpenti, saràf (rettili infuocati) e scorpioni, di siccità per mancanza d’acqua” (Devarìm 8, 15).
Prima di entrare nella Terra d’Israele, il popolo Ebraico dovette attraversare il deserto che, nella parashà Ekev, è descritto con queste parole: “Un deserto grande e terribile, (luogo di) serpenti, saràf e scorpioni, di siccità per mancanza d’acqua”. Questa descrizione contiene nei suoi dettagli una lezione valida per tutte le generazioni, e che ha lo scopo di guidarci nella nostra vita quotidiana. Il grande deserto rappresenta il lungo esilio, nel quale noi siamo immersi prima della redenzione. I particolari del deserto alludono al significato e al motivo di questo esilio; e grazie alla comprensione dei motivi dell’esilio, ci sarà più facile rettificarli e meritare la redenzione.
Le cause dell’esilio
Il deserto è per sua natura “una terra dove nessuno abita” (Geremia 2,6) e per questo esso allude all’esilio nel quale si trova il popolo d’Israele, immerso fra le nazioni. Il deserto ha anche un’estensione maggiore di quella di un luogo abitato, e così anche le nazioni del mondo sono maggiori di numero rispetto al popolo d’Israele (ed anche nel popolo d’Israele stesso, coloro che osservano la Torà e i precetti non sono, per ora, la maggioranza). La Torà ci dice che vedere il deserto come “grande” è la causa prima dell’esilio. Quando noi consideriamo le nazioni ed il mondo che ci stanno intorno come più grandi del popolo d’Israele, creiamo in questo modo la possibilità che il mondo ci domini. L’Ebreo deve ricordare che “Tu ci hai scelto fra tutti i popoli… e ci hai innalzati” (dal testo della preghiera dei Giorni di Festa), e con questa consapevolezza, che il popolo d’Israele è più elevato di tutti, l’Ebreo si attaccherà a D-O ed ai Suoi precetti, e nessun esilio potrà avere influenza su di lui.
La paura ed il calore
Un ulteriore discesa si trova allusa nella parola: “terribile”. Questa è la paura di fronte al mondo. L’esilio si fa più profondo, quando l’Ebreo comincia ad avere timore del gentile, che esso scopra che egli è legato alla sua fede e all’osservanza dei precetti. Una simile paura, che accompagna l’Ebreo anche in casa sua, rende più forte e profondo il potere dell’esilio sulla sua anima. Questo sminuimento produce un terzo stadio nella discesa: il “serpente”. Del serpente è scritto che “il suo veleno è caldo”. Ciò allude al fatto che il mondo riesce ad introdurre nell’Ebreo accaloramento ed entusiasmo estranei, entusiasmo per i piaceri del mondo, che ha come conseguenza il potere di ridurre l’entusiasmo verso tutto ciò che riguarda la santità. Da qui, la via per il saràf (riferito a un tipo di serpente, il termine saràf significa “che brucia”) è corta: esso indica l’entusiasmo negativo, che “brucia” ed esaurisce completamente ogni attrazione verso la santità.
Siccità per mancanza d’acqua
Ancora peggio è lo “scorpione”, del quale è detto che “il suo veleno è freddo”. Esso rappresenta la freddezza e l’indifferenza completa. Il calore e l’entusiasmo, anche se rivolti alle cose del mondo, possono sempre essere reindirizzati ed incanalati positivamente, verso la santità. Quando però l’uomo è privo di vitalità, freddo e indifferente a tutto, come le caratteristiche dello scorpione, risvegliarlo è molto difficile. E allora si può arrivare al livello più basso: “siccità per mancanza d’acqua”. A volte D-O provoca un risveglio nell’Ebreo, infondendogli sete e desiderio per l’Ebraismo, ma a causa della sua lontananza dalla santità, “mancanza d’acqua” (l’acqua è la Torà), egli non sa neppure di cosa ha sete, a che cosa agogna. Questo è l’apice dell’esilio. E quando siamo consapevoli di tutto ciò, stiamo attenti a non cadere già nel primo stadio, quello del dare importanza al mondo, e usciremo così dall’esilio, meritando la Redenzione vera e completa, al più presto.
(Likutèi Sichòt, vol. 2, pag. 372)