Liberiamo il mondo dalla galùt Pubblicato il 16 Maggio, 2024

Quando pensiamo alla Gheulà, immaginiamo qualcosa di completamente diverso dalla realtà attuale, un girar pagina, lasciandoci il passato alle spalle. Ci stupirà, quindi, scoprire ora, che la Gheulà non è una pagina nuova, bensì la stessa di prima, con una aggiunta: la rivelazione di D-O in essa!    

 

Di Gheulà in Gheulà

Noi ci troviamo, ora, negli ultimi momenti della galùt (esilio), ed alle soglie della Gheulà (redenzione), che è pronta a arrivare, ad ogni istante. Per sapere cosa è necessario che ognuno di noi faccia, perché ciò avvenga, e per capire come ci si possa preparare alla Gheulà, bisogna comprendere il significato del termine “Gheulà“, poiché, nella lingua Santa, il nome di una cosa ne esprime il suo vero contenuto.
Ciò che è sorprendente, è che la parola ‘גאולה’ (Gheulà) sia composta dalla parola ‘גולה’ (golà – esilio) con l’aggiunta della lettera א (alef). La lettera alef  allude al Santo, benedetto Egli sia, all’ Alufò shel haolàm (il Padrone del mondo), e, attraverso il servizio dell’Ebreo, nella galùt, di ‘introdurre’ D-O nel mondo, la golà viene trasformata in Gheulà.
Ma Golà e Gheulà, non sono comunque, per quel che sembra, due cose completamente opposte l’una all’altra?! Il fatto è che la Gheulà non ha il significato di un annullamento della realtà che esisteva prima, nella galùt, ma, piuttosto, quello di una ‘liberazione‘ di tutto ciò che esisteva prima, nella galùt, cosicché tutte le cose positive che c’erano nella galùt rimangano anche oltre, mentre ciò che viene annullato è la loro condizione di esilio, l’occultamento cioè della loro vera realtà interiore. Per questo il termine Gheulà comprende in di sé la parola golà: nella Gheulà avremo la golà, con l’aggiunta della rivelazione del Padrone del mondo (Alufò shel haolàm).
Questo ci spiega, però, solo perché nella parola Gheulà si trovi anche la parola “golà“, ma non perché la maggior parte della parola Gheulà sia composta dalla parola ‘golà‘. In particolare, poi, se si considera che nella seconda fase della Gheulà si verificheranno ormai fenomeni, che andranno completamente al di là dell’ordine naturale del mondo, come la resurrezione dei morti. Perché, allora, anche questa seconda fase porta il nome di Gheulà, che contiene ancora dentro di sè la ‘golà‘?

“Rifletti su tre cose”

Per capire ciò, bisogna riflettere sulla prima Mishnà del Pirkèi Avòt di questo Shabàt, capitolo terzo: “Rifletti su tre cose e non avrai mai a peccare”.
Perché è specificato “su tre cose”, quando ognuno di noi è in grado di contarle da solo? Di fatto, questa espressione della Mishnà costituisce un insegnamento di per sé. Rifletti e ricorda che vi sono tre cose, ed allora non verrai a peccare. Non pensare, cioè, che vi siano soltanto due cose, il Santo, benedetto Egli sia, e tu, e che, al di là di ciò, nulla ti debba toccare. Sappi che vi è pure una terza cosa, la realtà del mondo. Il tuo compito non è quello di fuggire dal mondo, ma, piuttosto, quello di agire nel mondo.
Il Santo, benedetto Egli sia, ha fatto discendere l’anima in questo mondo, un mondo di cui non ve ne è uno più basso, allo scopo di fare di esso una dimora per D-O. Ciò significa che l’uomo non deve chiudersi nei suoi ‘quattro cubiti’, preoccupandosi solo di se stesso, ma egli ha come compito quello di purificare il proprio corpo e la propria anima, come anche la realtà materiale del mondo, facendo di tutto ciò una dimora per D-O. Questo servizio viene compiuto tramite l’adempimento della Torà e delle mizvòt, poiché con l’uso delle cose materiali del mondo per il compimento della mizvà, noi lo sceveriamo e lo purifichiamo, rendendolo un recipiente capace di accogliere la Divinità.
Questa ‘terza’ cosa porta al completamento delle altre due: il Santo, benedetto Egli sia, e l’uomo. Per questo, D-O ha preso l’anima, che è una parte vera e propria della Divinità, e di per sé non ha alcun bisogno di essere purificata o perfezionata, e, dal suo posto nei mondi superiori, l’ha fatta scendere nel mondo. E questo, perché essa, tramite il suo servizio, in quanto anima dentro un corpo, in questo mondo materiale, purifichi il corpo ed il mondo, rivelando in essi la luce Divina, fino ad arrivare alla Gheulà.
Ciò eleva ad un grado superiore anche l’uomo stesso, fino al livello in cui “non avrai mai a peccare”, come è scritto, nel seguito della Mishnà.

Il servizio deve comprendere il mondo

Se così, la Gheulà non annulla la golà, ma la comprende dentro di sé, elevandola, attraverso l’inserimento in essa dell’Alufò shel haolàm, cosa che dipende proprio dal nostro servizio qui, nel mondo. Proprio attraverso la discesa nel mondo e l’agire in esso, è dato di arrivare alla Gheulà.
Questo fatto emerge anche dalla mizvà del conto dell’Omer. Il servizio del conto dell’Omer, è quello di sceverare e purificare l’anima animale, presente nell’uomo; il raffinamento dei suoi attributi emotivi naturali: benevolenza, severità, ecc. Oltre alla purificazione individuale, inoltre, viene prodotta anche un’elevazione di tutti i mondi, come viene detto nella preghiera, che segue il conto dell’Omer: “E con questo si diffonderà una grande abbondanza in tutti i mondi”.
Ciò permette anche un’ulteriore elevazione dell’uomo stesso, come è scritto nel seguito della stessa preghiera: “(possa il conto) purificare la nostra nefeshruach e neshamà (tre diversi livelli dell’anima) da ogni scoria e da ogni difetto e purificarci e santificarci con la Tua sublime santità”, un livello parallelo a quello del “non avrai mai a peccare”, della nostra Mishnà. E con questo si arriva a ciò che la preghiera dice, poi: “Il Misericordioso ci restituirà il servizio del Tempio…subito”, e, cioè, alla Gheulà.
Questo servizio è evidenziato particolarmente al termine della quarta settimana del conto dell’Omer, in cui sceveriamo l’attributo di nèzach (eternità, vittoria), che esprime il nostro cimentarsi con l’ascondimento prodotto dalla galùt e la vittoria su di esso, fino al conto che conclude questa settimana, e cioè: “malchùt shebenèzach” (‘regno’ che è nella ‘vittoria’), ossia la vittoria del Re Moshiach, nella Gheulà vera e completa.

Essere Sacerdote

Un esempio della condizione di Gheulà lo troviamo nella parashà di Acharè – Mot, nella quale si narra del Sommo Sacerdote, che entra, con la fisicità del suo corpo, nel Santo dei Santi, che è un luogo materiale, ma nel quale il Divino illumina in modo manifesto. Si tratta del luogo più santo che esista al mondo, ed in esso noi vediamo l’unione di materia e spirito, senza che la materialità si annulli. Anzi, essa si rende ricettacolo per la spiritualità, che vi si rivela con tutta la forza.
Anche la parashà di Kedoshìm mette in rilievo la condizione dell’uomo, che si trova in questo basso mondo, dove è necessario metterlo in guardia, affinché si separi da tutto ciò che è indesiderabile, e proprio lì è richiesto all’Ebreo di arrivare alla santità più elevata, la santità stessa del Santo, benedetto Egli sia.
E nella parashà di Emòr noi troviamo l’avvertimento che viene dato ai Sacerdoti, che compiono il loro servizio, in quanto anime dentro a dei corpi, in questo mondo materiale, un luogo infimo, nel quale si trova l’impurità, ed essi vengono avvertiti di guardarsi dall’impurità, il che rappresenta una preparazione alla Gheulà ed allude ad essa – allora, infatti, la purezza arriverà alla sua completezza e perfezione. Oltre a ciò, ai Sacerdoti è comandato di svolgere il loro servizio nel Tempio, indossando proprio le vesti del Sacerdozio, nonostante il fatto che le vesti sacerdotali, nella loro essenza, siano “per l’onore e per la bellezza” – e cioè, per la perfezione della materialità fisica. Questo, poiché la perfezione del servizio nel Mishkàn  (Santuario, luogo dove si rivela la Shechinà, la Presenza Divina, in tutto il suo onore) è tale, quando raggiunge il massimo della bellezza materiale. Si tratta, dunque, di utilizzare la bellezza materiale per il servizio della santità. Per questo il Sommo Sacerdote doveva essere più ricco di tutti, poiché il fine è che la santità compenetri anche le cose più semplici, i vestiti e l’argento, oggetti materiali.
Il vero posto del Sommo Sacerdote è il Santo dei Santi, cosa che sarà manifesta nella Gheulà vera e completa, quando egli potrà entrarvi in qualsiasi momento gli farà piacere, e non solo lui, ma anche ogni Ebreo sarà, nella Gheulà, a questo livello di santità del Sommo Sacerdote, nella sua condizione di anima dentro un corpo, in questo mondo materiale.
Vi è una storia, nella Scrittura (Re 2 – 11), secondo cui il re Joash, quando cercarono di uccidere tutta la stirpe reale, venne nascosto sopra il Santo dei Santi, per la durata di sei anni, e lì egli mangiò, dormì, e visse tutti gli aspetti materiali della sua vita. In ciò vi è l’allusione al fatto che il pericolo (la galùt) porta l’individuo ad una condizione in cui egli verrà a  trovarsi, con tutto se stesso, e per tutto il tempo, nel Santo dei Santi, così come sarà nella Gheulà, grazie al servizio, che si compie nella galùt.

Israel Aryeh Leib

Il 13 Yiàr cade l’anniversario della morte di Rav Israel Aryeh Leib (il fratello del Rebbe), ed è possibile imparare dal suo nome, un insegnamento sul servizio dell’Ebreo, che trasforma la “golà” in “Gheulà“. È possibile, infatti, apprendere un’istruzione sul servizio Divino, anche da un dato personale, ed in particolare, se si tratta di un nome, che allude a tutto il popolo, in generale: Israel. Nel nome Israel vi è un’allusione a due aspetti: 1) le iniziali, che formano l’acronimo: “Iesh Shishim Ribò Otiòt LaTorà” (ישראל – “יש שישים ריבוא אותיות לתורה”   – “Vi sono seicentomila lettere nella Torà”), alludono all’aspetto dell’Ebreo di anime d’Israele, legate alla Torà, che è al di sopra del livello del mondo. 2) Come disse l’angelo a Yacov: “Il tuo nome non si dirà più Yacov, bensì Israel, perché hai combattuto con il Signore e con gli uomini, e hai vinto”, il che allude al servizio ed alla lotta nel mondo.
L’insegnamento che ricaviamo da ciò per il servizio Divino è, innanzitutto, che l’Ebreo è completamente al di sopra del mondo ed a stabilire per lui, è solo la Torà. Insieme a ciò, egli deve anche sapere, che egli ha il compito essenziale di agire nel mondo. Egli deve ricordare che, oltre al servizio che lo riguarda individualmente, egli deve uscire con la Torà nel mondo, deve cimentarsi con “Elokìm” (il nome di D-O che ha il valore numerico della parola teva (natura) e che allude alle forze naturali, che agiscono nel mondo), e con gli uomini (come si narra nella Torà, di Yacov, che vinse Essàv e Lavàn, che rappresentano le nazioni del mondo). E lì, nel mondo, egli deve preparare una dimora per D-O, con il suo combattere, in una posizione di ministro e governatore di tutto, fino a portare il mondo alla condizione in cui non si dovrà più costringerlo, poiché, allora, ”essi accetteranno su di loro spontaneamente il Suo regno”.
Tutto questo servizio va fatto al modo di “Aryeh Leib” (leone): forti, cioè, come un leone di fronte a tutto l’ascondimento, sia nelle cose di santità, sia in quelle del vivere quotidiano, utilizzando le 10 forze dell’anima, le forze che sono nel cuore (Leib = lev (cuore) con una “i” nel mezzo (la lettera “i” – iud corrisponde al numero 10). E il cuore di Israele è sempre in uno stato di perfezione.

Tutto sale nella Gheulà

Da tutto ciò, noi impariamo come prepararci alla Gheulà: 1) Non c’è bisogno di preoccuparsi di cosa sarà, nella Gheulà, di tutto ciò che abbiamo fatto e per il quale abbiamo investito, nel tempo della galùt: tutto salirà con noi. Non solo! Dobbiamo cercare e trovare tutti i modi possibili per utilizzare ogni cosa, ogni occupazione, ogni dettaglio di questo mondo, per rivelare il Divino nel mondo.
2) Non bisogna distaccarsi dal mondo. Il servizio dell’Ebreo è quello di preparare il mondo alla Gheulà, attraverso il raffinamento della parte che lo concerne nel mondo ed il portare questa influenza anche oltre, con la diffusione dell’Ebraismo e delle sorgenti della Chassidùt all’esterno, fino a toccare anche le nazioni del mondo, affinché compiano le ‘sette mizvòt dei figli di Noè’.
Anche il mondo stesso contribuisce a portare la Gheulà, come abbiamo detto, che è proprio il servizio nel mondo e nella galùt a portare la Gheulà. La cosa è riconoscibile, in modo più manifesto, nelle ultime generazioni e negli ultimi anni, per il fatto che siamo molto vicini alla Gheulà: al contrario di un tempo, oggi, la maggior parte degli Ebrei vive in paesi, che permettono il compimento della Torà e delle mizvòt, ed aiutano l’Ebreo ad arrivare alla Gheulà interiore nel loro servizio. Anche lo stato che un tempo limitava ed impediva agli Ebrei la libertà di culto, e proibiva loro di lasciare il paese, oggi, permette tutto ciò, e, addirittura, si rende di aiuto per il servizio Divino.
Non solo, anche le nazioni del mondo agiscono, oggi, in modo da accrescere le loro opere di bene, la carità e l’educazione (che sono  basi essenziali per il vivere nel mondo). Si può vedere ciò nell’aiuto economico e umano che gli Stati Uniti devolvono ai profughi in altri paesi, dalla parte opposta del mondo. Da quando goìm si preoccupano di chi sta all’estremità opposta del mondo, senza che da ciò ne venga loro un vantaggio? Ciò può accadere soltanto, perché noi siamo così vicini alla Gheulà! Si può vedere questo anche nelle dichiarazioni e nelle istruzioni del presidente degli Stati Uniti, riguardo l’intensificazione delle attività educative, compreso il rafforzamento della fede nel Creatore del mondo.
Ciò, ed ancora molti altri fatti che accadono per Divina Provvidenza ogni giorno, sia per quel che riguarda il generale, sia per quel che riguarda ognuno di noi, nel particolare, dimostra e rivela ancora di più come il mondo stesso aiuti a fare una dimora per D-O  e a portare la Gheulà.

(Da un discorso di Shabàt parashà Acharèi – Kedoshìm, 13 Yiàr 5751)

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