Mezzo Shèkel per vincere l’idolatria! Come è possibile? Pubblicato il 27 Febbraio, 2024
Il Sabato in prossimità del Capomese di Adàr (Adàr 2, quest'anno) è chiamato Shabàt Shekalìm. In esso noi leggiamo alcuni versi della parashà Ki Tissà, che ci ricordano l'offerta del 'mezzo shèkel', dal quale possiamo trarre importanti insegnamenti. Mostrandoci una 'moneta di fuoco', D-O ci ha insegnato come riconoscere la Sua unicità e la verità, che non c'è altro oltre a D-O e che tutto viene da Lui.
Nella parashà Ki Tissà, HaShem comanda, che ogni Ebreo porti, al momento del censimento, mezzo shèkel (מחצית השקל). “…ciascuno, nel momento in cui li conterai, darà un riscatto all’Eterno per espiare la propria persona…mezzo shèkel” (Esodo 30; 12-13) I Saggi aggiungono, che questo mezzo shèkel doveva espiare anche il peccato del Vitello d’Oro. Per Moshè ciò non era assolutamente comprensibile. Come poteva una somma così piccola espiare un peccato così grave, come quello dell’idolatria? HaShem, allora, gli mostrò come doveva essere la moneta: una moneta di fuoco (Rashi: Esodo 30;13).
Per arrivare ad una comprensione, bisogna innanzitutto capire cosa sia l’idolatria. Al di là del tipo di idolatria, per cui un uomo arriva ad attribuire ad un oggetto materiale poteri assoluti e soprannaturali, e vi si prostra e lo adora, vi è ancora un tipo di idolatria, meno evidente, che, pur riconoscendo l’esistenza di un Creatore, lo confina ad uno dei tanti dei, persino al D-O degli dei. Questi “dei”, poi, non occorre neppure, che siano entità soprannaturali. Basta, infatti, che l’uomo riconosca a se stesso e al mondo un’esistenza autonoma, separata da D-O, capace di esistere e di agire, anche senza di Lui, perché ciò costituisca idolatria, e cioè il rinnegare l’unicità di D-O, la verità che non c’è altro oltre ad HaShem e che tutto viene da Lui.
Come riparare a questa concezione delle cose, che così facilmente ci permea, senza che neppure ci accorgiamo di essere in una direzione completamente sbagliata? La moneta di fuoco ci viene in aiuto. Come il fuoco è un elemento, che tende a salire, esso rappresenta la tendenza dell’anima a salire verso la spiritualità. D’altro canto, la moneta, come ogni oggetto materiale dotato di peso, ha la proprietà di essere attratta verso il basso, di scendere. Una moneta di fuoco, quindi, di per sé, è una contraddizione, l’unione di due opposti. E’ questo che noi dobbiamo operare dentro di noi, per espiare il peccato di idolatria, e cioè dell’espandersi della nostra sensazione di esistere, al di là di tutto.
In ognuno di noi esiste, per natura, in modo più pronunciato o l’aspetto del fuoco, che si esprime nell’entusiasmo che l’Ebreo prova nella preghiera, nello studio, nella ricerca spirituale, o l’aspetto più materiale (la moneta), che si esprime nel desiderio di attivarsi in modo pratico, per aiutare il nostro prossimo con atti di bene. O l’uno, o l’altro. HaShem chiede da noi l’unione di questi due aspetti, animata dallo stesso tipo di entusiasmo. Perché riuscire in ciò, espia il peccato di idolatria? Se idolatria è il riconoscere la propria realtà, i propri successi, la propria volontà, come separati e indipendenti da HaShem, espiare ciò, è annullare la sensazione della propria personalità e della propria volontà, in modo da rivelare il punto interiore di verità, che è in noi e che anela a fare solo la volontà di HaShem. In questa direzione, l’entusiasmo e la gioia, non derivano più dall’aver realizzato ciò per cui ci sentiamo più portati e che ci da più soddisfazione, ma dal fatto, di per sé, di aver adempiuto alla volontà di HaShem, poco importa attraverso quale mezzo, moneta o fuoco. A questo livello tutto è uno, perché l’Ebreo scopre e ricompone l’unità latente e indissolubile della propria essenza con D-O. Il mezzo shèkel si riunisce all’altra sua metà, HaShem, col risvegliarsi della fiamma del desiderio e dell’amore della sua anima Divina verso D-O. L’Ebreo, infatti, di per sé, non è che una realtà a metà. Solo quando l’Ebreo è unito ad HaShem, può essere considerato una realtà completa, ed è qui, che si rivela il suo legame profondo con D-O.
Il peccato del vitello d’oro rappresentò un allontanamento da D-O. Il mezzo shèkel viene ad esprimere il legame assoluto dell’Ebreo col Creatore. Nella parola מ ח צ י ת (mezzo), troviamo ancora un aiuto, che ci permette di avvicinarci a questo livello di unione, attraverso il Servizio, che HaShem ci richiede. Nel centro della parola vi è la lettera צ (Zade, o Zadìk, Giusto). Le lettere della parola più lontane dal centro, formano la parola מת (mèt, morto), mentre quelle più vicine al centro, formano la parola חי (chài, vivo). Per ricevere la vitalità, che ci permette di effettuare il nostro Servizio con gioia e di affrettare il processo della rivelazione definitiva, della Gheulà, dobbiamo tenerci collegati allo Zadìk della generazione, all’estensione di Moshè Rabènu, che esiste in ogni generazione, e cioè al RABBI, Rosh Bnèi Israel (Capo di Figli d’Israele), veicolo indispensabile per la nostra unione con HaShem. (Vedi, in proposito, Tempo di Gheulà, n.8, pag. 2).
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