Oltre i limiti Pubblicato il 18 Aprile, 2024

L'ultimo Sabato prima di Pèsach, Shabàt HaGadòl, ricorda un miracolo, che insegna fino ad oggi il potere che ha l'Ebreo, quando è collegato al Moshè della generazione, di superare i limiti della natura e del mondo, al punto di veder trasformarsi gli ostacoli del mondo stesso in un aiuto manifesto per l'attuazione della volontà Divina nel mondo.

 

    Nissàn è chiamato il mese della redenzione, poiché l’intero mese ruota intorno a Pèsach, il tempo della nostra liberazione. Nissàn è anche collegato al concetto dei nissìm (miracoli). I due concetti sono correlati, poiché fu con grandi prodigi e miracoli, che D-O trasse gli Ebrei fuori dall’Egitto. L’ultimo Shabàt prima di Pèsach, Shabàt haGadòl, il Grande Sabato, mostra con ancora più enfasi il collegamento con i miracoli, grazie, appunto, al grande miracolo che avvenne allora. Quale fu il miracolo? Come narra l’Admòr HaZakèn, nel suo Shulchàn Arùch, i primogeniti degli Egiziani vennero a sapere, che D-O li avrebbe uccisi e tentarono di convincere il Faraone a lasciar andare gli Ebrei. Al rifiuto del Faraone, i primogeniti si ribellarono a lui, come emerge dal testo: “Colpire l’Egitto con i suoi primogeniti…” (Salmi 136:10) Questo rappresentò l’inizio dei miracoli della redenzione.

     Noi dobbiamo comprendere. Perché i nostri Saggi diedero una tale importanza al colpire gli Egiziani da parte dei loro primogeniti? Perché ciò fu considerato un così grande miracolo e l’inizio dei miracoli della redenzione? È necessario anche comprendere il nesso fra questo miracolo e lo Shabàt, dato che esso avvenne di Shabàt ed è ricordato di Shabàt. La redenzione dall’Egitto è associata a Moshè, colui che fu scelto da D-O per redimere il popolo Ebraico dall’Egitto. Quando Moshè chiese a D-O di mandare qualcun altro al suo posto, D-O rifiutò, poiché non vi era altri, all’infuori di Moshè, in grado di redimere il popolo Ebraico. Lo scopo dell’esodo dall’Egitto fu quello che il popolo Ebraico riconoscesse la Provvidenza Divina, come è scritto: “Vi eleggerò quale popolo a Me appartenente… cosicché riconosciate che Io sono il Signore vostro D-O, che vi ha liberato dal giogo dell’Egitto.”

      Gli Ebrei, nello stato in cui essi si trovano, e cioè, nella loro esistenza qui, nel nostro mondo materiale, dovevano arrivare alla consapevolezza di  D-O e all’accettazione dei suoi comandamenti, all’accettazione della Torà, e, tramite il loro servizio, rendere manifesto il Divino nel mondo intero (attraverso la costruzione del Santuario). Il Santuario, però, fu di natura temporanea. Lo scopo della rivelazione del Divino nel mondo, fu realizzato in modo più permanente con il Tempio. Il Primo ed il Secondo Tempio, però, furono distrutti. Il mezzo definitivo per la rivelazione del Divino nel mondo, quindi, sarà il Terzo Tempio, che sarà eterno. Allora, nell’Era della Redenzione, “si manifesterà la gloria di D-O  e tutti gli esseri viventi vedranno, che la bocca di D-O ha parlato” (Isaia 40:5); vi sarà, cioè, una rivelazione Divina, che verrà riconosciuta da tutta l’umanità.

    Dal momento che lo scopo dell’esodo fu la rivelazione del Divino, esso fu associato a miracoli, che ruppero i limiti della natura. Il termine Ebraico per natura è teva, che significa anche “sommerso”. La forza Divina investita nel mondo è ‘sommersa’ dall’ordine naturale del mondo, che impedisce di riconoscerLo. I miracoli, invece, rompono i limiti della natura, e ci permettono di riconoscere apertamente l’infinito potere Divino. L’essere stati testimoni di questi miracoli, diede agli Ebrei la forza necessaria per lasciare l’Egitto, per oltrepassare il limiti ed i confini dell’esistenza terrena, e sperimentare la libertà. Allo stesso modo, la redenzione futura sarà caratterizzata da miracoli, secondo quanto è scritto: “Come nei giorni della vostra uscita dall’Egitto, Io vi mostrerò miracoli”, prodigi che trascenderanno completamente l’ordine naturale e che saranno più grandi di quelli che accompagnarono l’uscita dall’Egitto. Inoltre, sarà D-O Stesso a mostrarci questi prodigi, rendendoli apertamente manifesti.

    Come abbiamo detto, la possibilità della redenzione è associata a Moshè. La natura dell’influenza e del contributo di Moshè verso il popolo Ebraico ed il mondo intero, è espressa nel Salmo 90: “Preghiera di Moshè, uomo di D-O” (questo Salmo, secondo l’uso iniziato dal Baal Shem Tov di recitare quotidianamente il Salmo corrispondente all’età della persona, è il Salmo corrispondente all’età del Rebbe, nell’anno in cui fu pronunciato questo discorso). Il Salmo conclude: “Possa la grazia del Signore, nostro D-O, essere su di noi! Consolida per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi stabile.” I nostri Saggi interpretano ciò come una preghiera, relativa alla costruzione del Santuario nel deserto, che dice: “Possa la Divina Presenza posarsi sul lavoro delle tue mani.” Con questa preghiera, Moshè – e questo fu il suo contributo unico – stabilì, in modo fisso, il dimorare della Presenza Divina fra il popolo Ebraico.

     L’espressione finale di questo processo, che porta al dimorare Divino, sarà nell’Era della Redenzione, con la costruzione del Terzo Tempio, come edificio eterno. Per stabilire una dimora per D-O all’interno del popolo Ebraico, in modo permanente, sono necessarie due qualità: 1) Bisogna possedere un potere superiore a quello dell’ordine naturale, un potere che può infondere una rivelazione del Divino in questo mondo, che nasconde la Divinità. Ciò comporta un cambiamento della natura del mondo, per così dire, così da renderlo un recipiente adatto ad accogliere il Divino, ed in forma permanente. 2) Questo potere deve poter discendere al punto da poter essere investito nel mondo (poiché ciò che viene a purificare qualcosa d’altro, deve essere al suo livello). Solo in questo modo è possibile trasformare il mondo in un recipiente atto a ricevere il Divino in modo permanente.

      Entrambe queste qualità erano presenti in Moshè, che fungeva da intermediario di connessione, capace di unire il popolo Ebraico a D-O. Queste due qualità le si ritrovano nella frase: “uomo di D-O”. I nostri Saggi  commentano: “La sua parte superiore  assomigliava  a  D-O; quella inferiore era come un uomo.” Come “uomo di D-O” Moshè aveva il potere di attrarre la rivelazione della dimensione illimitata del Divino, nel mondo. Questo lo rendeva capace di tirar fuori il popolo Ebraico dalle limitazioni dell’esilio, anche le più degradate ed inferiori, come l’Egitto. Così, e di più, sarà nella Redenzione Finale, una redenzione che non sarà seguita da nessun esilio.

      Si spiega ora l’importanza della ribellione dei primogeniti, che si trasformarono in una forza in grado di aiutare gli Ebrei, rappresentando, così, un’elevazione degli elementi più bassi dell’esistenza. Si tratta qui di un vero e proprio rivelarsi della dimensione infinita del Divino, nei limiti del nostro mondo materiale. Per questo il miracolo è associato al Sabato, poiché il Sabato è associato alla Redenzione, “il giorno che è tutto Shabàt e riposo per l’eternità”. Possiamo noi meritare il compimento finale della preghiera di Moshè: “che la Divina Presenza si posi sul lavoro delle nostre mani”, nel Terzo Tempio, “il Santuario di D-O, stabilito dalle Tue mani.”

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