Perché la teshuvà non rientra nel numero delle mizvòt Pubblicato il 10 Giugno, 2024

Tutto lo scopo del pentimento è che esso porti ad un risveglio interiore, ad un desiderio di tornare a D-O, un risveglio che deve venire dall’uomo stesso. Per questo non può esservi un comando in proposito, poiché allora un simile processo non sorgerebbe dall’uomo stesso. Ecco perché la Torà non ha comandato di pentirsi, affinché questo processo sia in tutto e per tutto solo il frutto di una iniziativa interiore dell’uomo.

teshuva 0“Essi dovranno confessare il loro peccato che hanno commesso” (Bemidbàr 5:7)
Nella parashà Nasò compare il precetto della confessione dei propri peccati: “Essi dovranno confessare il loro peccato che hanno commesso”. A questo proposito, il Ràmbam scrive: “siamo stati comandati di confessare verbalmente le colpe ed i peccati che abbiamo commesso davanti a D-O”. La confessione rientra quindi nel conto dei 613 precetti. Secondo la numerazione del Ràmbam, questo è il settantatreesimo precetto positivo. Sorge qui una domanda: perché proprio la confessione, che è solo un particolare del processo della teshuvà (pentimento – ritorno), viene contato fra i 613 precetti, mentre la teshuvà stessa non viene inclusa nei precetti?

Non è un comando
Tre sono le risposte che si possono dare a questa domanda. 1) La teshuvà non viene contata fra i 613 precetti, poiché essa non è un precetto. Non esiste il comando di pentirsi. Se l’uomo vuole pentirsi e riparare i propri peccati, ritornando così a D-O, la Torà gli mostra la via per farlo, ma il pentimento di per sé non è un comando. Per questo, la confessione è un precetto e la teshuvà non lo è. È possibile dare una spiegazione più profonda: tutto lo scopo del pentimento è che esso porti ad un risveglio interiore, ad un desiderio di tornare a D-O, un risveglio che deve venire dall’uomo stesso. Per questo non può esservi un comando in proposito, poiché allora un simile processo non sorgerebbe dall’uomo stesso, ma sarebbe il risultato di un comando che lo obbliga a fare ciò. Ecco perché la Torà non ha comandato di pentirsi, affinché questo processo sia in tutto e per tutto solo il frutto di una iniziativa interiore dell’uomo.

Un comando generale
2) La teshuvà è un comando generale, e per questo essa non è inclusa nel conto dei precetti, che comprende solo comandi specifici. Ad esempio, nella Torà si trova il comando: “Circoncidete il prepuzio del vostro cuore e cessate di indurire la vostra cervice” (Devarìm 10:16), e nonostante ciò, esso non viene contato fra i 613 precetti, poiché si tratta di un comando generale che riguarda l’osservanza di tutta la Torà ed i suoi precetti. Questa spiegazione si accorda al fatto che i 613 precetti sono comparati ai 613 organi e vene che si trovano nell’uomo. Come nella lista degli organi e delle vene vengono contati solo gli organi specifici, mentre il sangue, per esempio, che porta vitalità a tutti gli organi, non viene considerato come organo, così la teshuvà, che ha lo scopo di produrre un risveglio dal profondo del cuore, è un qualcosa di generale, per cui non rientra nel conto dei 613 precetti.

Le cose che sono nel cuore
3) La confessione e la teshuvà sono un unico precetto, come chiarisce il Ràmbam nelle Hilchòt Hateshuvà: “D’altra parte chi confessa le proprie colpe solo a parole, senza il fermo proponimento di abbandonare il peccato, è simile a chi compie il bagno di purificazione (tevilà), tenendo un verme in mano. È chiaro che non potrà mai purificarsi senza aver prima gettato il verme” (cap. 10, halachà 3). Tuttavia, quando vi è un precetto che è composto da due parti, una pratica e un’altra che riguarda l’emozione, nella lista dei precetti viene contata soltanto la parte pratica. Per questo viene contata fra i precetti solo la confessione e non la teshuvà, dato che essa è un qualcosa che è riguarda il cuore. Secondo questa spiegazione (che rispetta la posizione del Ràmbam), la teshuvà è un precetto e persino un precetto specifico, solo che essa è inclusa nel precetto della confessione. Nonostante la teshuvà sia al di sopra di tutti i precetti, essa non deve restare ‘in alto’, ma deve piuttosto pervadere i precetti specifici, così da portare l’uomo ad osservare tutti i precetti nella pratica, come dicono i nostri saggi: “Teshuvà e buone azioni”.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 38, pag. 18)

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