Perchè Nachshon saltò in mare? Pubblicato il 24 Gennaio, 2024

L’apertura del Mar Rosso costituì un ulteriore fase nella preparazione al Matàn Torà ed anche alla Redenzione futura. Come si realizzò questo miracolo? Il midràsh racconta che un Ebreo, di nome Nachshon Aminadàv, si sacrificò gettandosi in mare, gesto che portò al realizzarsi del miracolo.  

La parashà Beshallàch descrive uno dei grandi miracoli vissuti dai Figli d’Israele alla loro uscita dall’Egitto: l’apertura del Mar Rosso. Fu questo un miracolo particolare, dal quale derivò l’espressione dei nostri Saggi: “Difficile come l’apertura del Mar Rosso.” L’apertura del Mar Rosso costituì un ulteriore fase nella preparazione al Matàn Torà ed anche alla Redenzione futura. Come si realizzò questo miracolo? Il midràsh racconta che un Ebreo, di nome Nachshon Aminadàv, si sacrificò gettandosi in mare, gesto che portò al realizzarsi del miracolo.

Non farsi impressionare dagli ostacoli
Eppure, proprio il salto di Nachshon Aminadàv nel mare suscita una domanda: è nota l’opinione secondo la quale i Figli d’Israele, prima del Matàn Torà, fossero anche loro tenuti ad osservare i ‘Sette Precetti dei Figli di Noè’, non avendo essi ancora ricevuto i 613 precetti della Torà. Riguardo questi ‘Sette Precetti’ vi è una differenza di opinioni, sul fatto che i ‘figli di Noè’, e quindi tutta l’umanità dopo di loro, siano vincolati o no all’obbligo dell’auto-sacrificio. Secondo l’opinione che non li vede obbligati a ciò, diventerebbe loro addirittura proibito l’auto-sacrificio, in quanto questo rientrerebbe nella proibizione del versamento di sangue (uccidere), e quindi anche del versamento del proprio sangue. Nachshon sapeva però che, riguardo alla loro uscita dall’Egitto, D-O aveva detto: “Quando porterai fuori il popolo dall’Egitto, voi servirete il Signore su questo monte.” (Shemòt 3:12). Egli sapeva cioè che, uscendo dall’Egitto, essi avrebbero dovuto recarsi al Monte Sinai per ricevere la Torà, e che nulla poteva quindi frapporsi a ciò. Per questo, nessun ostacolo che si incontrasse sulla via avrebbe dovuto esser preso in considerazione, compresa qualsiasi domanda che fosse di disturbo al compimento dell’esplicita volontà Divina. Se sulla strada per il Monte Sinai si trovava il mare, questo non doveva costituire un ostacolo: bisognava saltarvi dentro ed avanzare fino al Monte Sinai, per ricevere la Torà.

Senza alcun dubbio
Senza alcun dubbio secondo un midràsh, in quell’occasione Israele si divise in quattro differenti gruppi, secondo quattro differenti opinioni: chi pensava che l’unica soluzione, davanti alla situazione che li vedeva con il mare di fronte e gli Egiziani che li inseguivano alle spalle, fosse quella di tornare in Egitto; chi credeva di dover combattere contro gli Egiziani; chi pensava che l’unica possibilità fosse pregare; e solamente un piccolo gruppo pensò di saltare in mare, ma ciò solo per il grande scoraggiamento. Ora, secondo la regola halachica che lega la presa di una decisione halachica alla maggioranza, Nachshon avrebbe potuto dubitare del fatto che gli fosse permesso saltare in mare, poiché questa non era l’opinione della maggior parte del popolo. Nachshon, invece, si tenne lontano dai dubbi. Egli sapeva che D-O aveva comandato di andare al Monte Sinai per ricevere la Torà. Per arrivare a questo scopo non si adattavano le vie che portavano a tornare in Egitto o a combattere contro gli Egiziani o a pregare. Una via soltanto conduceva alla realizzazione dello scopo: avanzare dentro il Mar Rosso, cosa che avrebbe avvicinato il popolo, almeno di una passo, al Monte Sinai.

Servire D-O con auto-sacrificio
La condizione e la situazione dei Figli d’Israele all’apertura del Mar Rosso fungono da insegnamento per tutte le generazioni. E questo fu il servizio del Rebbe Rayàz (il Rebbe Precedente), l’anniversario della cui scomparsa ricorre il dieci del mese di Shvàt, un servizio Divino compiuto con auto-sacrificio, via verso la quale egli indirizzò anche tutti coloro che lo seguirono. Già dall’inizio della sua leadership egli iniziò la sua opera con auto-sacrificio: egli viveva allora in Russia, nell’epoca in cui divulgare la Torà, i suoi precetti e la Chassidùt erano considerate azioni anti-governative, contro natura, e per lo svolgimento delle quali era necessario auto-sacrificio, fino a mettere in pericolo di fatto la propria vita. Questo stesso atteggiamento egli lo richiese anche ai suoi chassidìm. Anche se, nel codice di leggi Ebraiche, non si trova una norma che permetta di pretendere dagli altri l’auto-sacrificio, ciò si riferisce al caso in cui non vi sia la sensazione di una missione particolare ricevuta dall’Alto. Diversa è invece la cosa quando si verifichi il caso in cui “La Shechinà (la presenza Divina) parli dalla sua gola”. Questa fu la missione ed il servizio del Rebbe Rayàz. E quando si agisce e si serve D-O con auto-sacrificio, e cioè con totale devozione, si meriterà allora di poter accogliere subito il nostro Giusto Moshiach.

(Da un discorso del 10 Shvàt 5716)

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