Qualcosa di indispensabile Pubblicato il 22 Luglio, 2024

Nell’era Messianica, i giorni di digiuno non verranno solo aboliti, ma saranno trasformati in giorni di festa, come è scritto: “Così dice il Signore degli Eserciti: il digiuno del quarto, quinto, settimo e decimo mese saranno per la casa di Yehuda giorni di giubilo, allegria e fauste ricorrenze”

La funzione del digiuno
Il 17 di Tamùz è un giorno di digiuno che ricorda cinque tragici eventi della nostra storia: 1) Moshè spezzò le Tavole della Legge, quando scese dal Monte Sinai e vide gli Ebrei adorare un vitello d’oro; 2) fu interrotto il sacrificio quotidiano nel Santuario, a causa dell’assedio che impediva di portare a Gerusalemme gli animali necessari; 3) fu aperto un varco nelle mura della città, all’epoca della distruzione del Secondo Tempio; 4) il crudele Apostomòs gettò un Rotolo della Torà nelle fiamme; 5) da parte di Ebrei traviati, fu collocato un idolo all’interno del Tempio. Un digiuno non è solo la commemorazione di un particolare avvenimento; esso è soprattutto un mezzo per eliminare il tragico evento, o comunque le sue ripercussioni. Se accade qualcosa di male agli Ebrei, questa è solo una conseguenza dell’aver peccato. Un digiuno serve quindi a ricordare e ad ispirare il pentimento, ad avvicinarsi a D-O. Come dice il profeta: “Ricercate il Signore mentre Lo si può trovare, invocateLo mentre è vicino” (Isaia 55:6). L’Ebreo può pentirsi in qualsiasi giorno dell’anno, ma è molto più facile farlo nel giorno del digiuno, quando D-O “può essere trovato” ed è “vicino” a ogni Ebreo, quando ci viene fatto ricordare il male che ha causato i problemi e le disgrazie. Il pentimento fa sì che le trasgressioni passate siano perdonate. Quando, quindi, la causa stessa delle disgrazie viene rimossa, anche le disgrazie vengono automaticamente eliminate. È importante quindi studiare gli avvenimenti ricordati dai digiuni così che, comprendendone il loro significato spirituale, noi possiamo capire in quali aree della nostra vita necessiti di più il nostro pentimento ed un miglioramento del nostro servizio Divino.

La rottura delle Tavole
La prima tragedia occorsa il 17 di Tamùz fu quella della rottura delle Tavole. Un simile avvenimento non sembrerebbe però così grave da giustificare un digiuno pubblico. Già prima che fossero state date le Tavole, gli Ebrei avevano ricevuto molte parti della Torà Scritta. La Torà stessa ci dice che, ancor prima del Monte Sinai, “Moshè scrisse tutte le parole dell’Eterno” (Shemòt 24:4) e poi “prese il libro del patto, e lo lesse alle orecchie del popolo” (Shemòt 24:7). Rashi spiega che Moshè scrisse la Torà “da Bereshìt fino al Matàn Torà” ed anche i precetti che furono impartiti a Marà”. Inoltre, trascorsero quaranta giorni dal momento in cui furono pronunciati i Dieci Comandamenti fino a quello della rottura delle Tavole. In quel lasso di tempo, gli Ebrei studiarono i Dieci Comandamenti che avevano sentito e che, con tutta probabilità, avevano trascritto. Se quindi essi già possedevano i Comandamenti, perché la rottura delle Tavole avrebbe dovuto essere così tragica, tanto da essere un motivo per istituire un digiuno pubblico?

L’Ebraismo è scolpito nell’anima dell’Ebreo
Le Tavole della Legge non furono date per informare gli Ebrei dei Dieci Comandamenti. Il loro scopo fu un altro. Esse ebbero la funzione unica di definire la relazione fondamentale dell’Ebreo con l’Ebraismo. I Dieci Comandamenti furono incisi nelle tavole e, come si sa, fra le lettere scolpite e quelle scritte con l’inchiostro sulla carta vi è una grande differenza. L’inchiostro, infatti non viene ad essere una parte della carta stessa, ma resta una cosa separata, tanto che simili lettere possono anche venire cancellate. Le lettere scolpite, invece, sono parte della pietra, e non possono essere rimosse senza mutilare la pietra stessa. Fu questa la differenza fra i Dieci Comandamenti delle Tavole e quelli che gli Ebrei stessi trascrissero. Fu poi proprio questa caratteristica a definire il modello di relazione che esiste fra l’Ebreo e i Comandamenti e, per esteso, la Torà stessa, dato che essi la comprendono e la rappresentano. I Dieci Comandamenti, quindi, e l’intera Torà, sono scolpiti nell’anima dell’Ebreo, divenendo una parte di lui, una cosa sola con la sua essenza, in modo eterno e inseparabile. Ora si può comprendere la gravità della rottura delle Tavole. Un Ebreo può osservare tutta la Torà, senza trascurarne alcun aspetto; se però egli la considera come un qualcosa di separato da se stesso, senza vedere che egli e la Torà sono una cosa sola, una simile attitudine costituisce di per sé un fatto abbastanza grave da giustificare un digiuno pubblico. Le Tavole, che rappresentano l’unità assoluta dell’Ebreo con la Torà, sono state rotte. Un Ebreo può pensare di potersi staccare dall’Ebraismo, che la Torà sia come uno scritto che può essere cancellato. L’incisione dei Dieci Comandamenti insegna l’opposto: un Ebreo non può cambiare ciò che egli è. Che lo voglia o no, l’Ebraismo è una parte di lui, incisa nella sua anima, inamovibile. Egli potrà cercare di nascondersi dalla verità e non osservare la Torà ed i precetti, ma non potrà cambiare la verità.

Una breccia nel muro
Anche la breccia che fu aperta nelle mura di Gerusalemme e che costituì uno dei tragici eventi occorsi il 17 di Tamùz, serve a comprendere l’importanza del fatto che la Torà, in ogni suo aspetto, sia scolpita nell’animo dell’Ebreo. Le mura che cingevano Gerusalemme non furono completamente distrutte; la maggior parte rimase intatta. La città stessa, compreso il Tempio al suo interno, non erano ancora stati toccati. Solo una breccia fu aperta nelle sue mura. Spiritualmente, la città di Gerusalemme ed il Tempio rappresentano l’Ebraismo stesso, le sue basi. Le mura di cinta rappresentano quegli aspetti la cui unica funzione è quella di proteggere l’Ebraismo, come può essere una maggiore meticolosità nell’osservanza dei precetti o misure speciali per prevenire la possibilità di peccare. Questi non sono i principi base dell’Ebraismo, ma un muro eretto a loro protezione. Una violazione di questa recinzione protettiva, che circonda l’Ebraismo, potrebbe sembrare non così grave, dopotutto, poiché è solo il muro che si rompe, mentre quello che c’è dentro, l’Ebraismo stesso, rimane intatto. Il digiuno del 17 di Tamùz insegna che la tragedia della breccia nelle mura è quella che porta a cose ben peggiori e più gravi. Dato che infatti, allora, non furono prese misure per correggere la situazione – gli Ebrei cioè non si pentirono del loro comportamento malvagio, che era alla radice del problema – la città stessa fu conquistata ed il Tempio distrutto. Ciò accade anche a livello spirituale. Ogni aspetto dell’Ebraismo, anche ciò che non è altro che un muro di protezione, ha un’importanza vitale. Ogni parte della Torà infatti, come abbiamo visto, è scolpita nell’animo dell’Ebreo ed influenza la sua stessa essenza. Inoltre, se si permette che in una parte del muro si crei un varco, altri ne seguiranno, poiché “una trasgressione ne fa seguire un’altra” (Pirkè Avòt 4:2). L’Ebraismo stesso, alla fine, sarà in pericolo. Se le Tavole sono rotte, se una breccia si è creata nel muro, noi dobbiamo agire: un giorno di digiuno diventa necessario. Noi dobbiamo riavvicinarci a D-O, dare noi stessi, rinforzare la nostra spiritualità. Il digiuno riduce il nostro corpo fisico, “il nostro grasso ed il nostro sangue”. Il “grasso” rappresenta il piacere, il “sangue” l’eccitamento e l’entusiasmo. Digiunare vuol dire minimizzare il nostro coinvolgimento nei piaceri fisici e nel loro perseguimento. Noi ci volgiamo allo spirito, ci avviciniamo a D-O. Con il nostro servizio spirituale noi correggiamo i peccati e le omissioni del passato, che hanno causato gli eventi per i quali digiuniamo. Inoltre, nell’era Messianica, i giorni di digiuno non verranno solo aboliti, ma saranno trasformati in giorni di festa, come è scritto: “Così dice il Signore degli Eserciti: il digiuno del quarto, quinto, settimo e decimo mese saranno per la casa di Yehuda giorni di giubilo, allegria e fauste ricorrenze” (Zaccaria 8: 19).

(Da discorsi del 17 Tamùz 5740 – 41 – 42)

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