Rimprovero nascosto, amore rivelato Pubblicato il 4 Agosto, 2024

Quando si rimprovera per un peccato, bisogna anche stare attenti all’onore di Israele e attribuire un merito allo stesso tempo, poiché anche la discesa spirituale del popolo d’Israele è al fine di una ascesa.

“Queste sono le parole che disse Moshè”
Il libro di Devarìm, il quinto libro della Torà, inizia con parole di rimprovero che Moshè impartisce ai Figli d’Israele, a proposito dei peccati da loro commessi durante i quarant’anni del loro vagare nel deserto. Egli ripercorre gli avvenimenti occorsi al popolo, e in questi introduce parole di rimprovero. I nostri Saggi, tuttavia, dicono che già fin dal primo verso si possono trovare dei rimproveri celati: “Queste sono le parole che disse Moshè… nel deserto, nella steppa, davanti a Suf, fra Paràn e Tofèl, Lavàn, Chazeròt e Dì Zahàv” (Devarìm 1:1). I luoghi citati qui alludono a diversi peccati dei Figli d’Israele, e infatti alcuni di essi non sono veramente nomi di località, ma solo un’allusione al peccato.

Attribuire dei meriti
Ad esempio, uno dei luoghi ricordati è: “Dì Zahàv”. Non è possibile trovare alcun nome simile in tutta la storia del vagare dei Figli d’Israele nel deserto, e questo poiché un tale luogo non esiste. Perciò Rashi, nel suo commento, spiega che tale nome allude al peccato del vitello d’oro: “Li rimproverò per il vitello che avevano fatto, a causa dell’abbondanza d’oro che possedevano” (Rashi, Devarìm 1:1). Moshè Rabèinu sceglie di ricordare tutti questi peccati solo alludendovi, come spiega Rashi: “Li ricorda con un’allusione, per riguardo all’onore d’Israele”. Bisogna aggiungere che Moshè non si limitò a ricordare i peccati per allusione, ma scelse delle allusioni che contenessero anche dei giudizi positivi nei confronti del popolo d’Israele.

Difficili prove
La parola “nel deserto” allude a “poiché essi Lo fecero adirare nel deserto”, ma vi è qui anche un giudizio positivo di attenuante: dal momento che i Figli d’Israele erano nel deserto, descritto come “il deserto grande e terribile (luogo di) serpenti velenosi e scorpioni, di siccità per mancanza d’acqua” (Devarìm 8:15), una condizione che pone l’uomo davanti a prove difficili, non bisogna incolparli così tanto per aver fatto adirare lì D-O benedetto. In seguito, Moshè dice: “nella steppa”. Rashi spiega: “Li rimproverò cioè in relazione alla steppa, poiché avevano peccato a Baal Peòr, a Shitìm, nelle steppe di Moav”. Ma dopotutto si tratta delle “steppe di Moav”, e noi sappiamo che l’origine del popolo dei Moabiti deriva dalla figlia primogenita di Lot, che “non fu pudica” e “proclamò apertamente di aver avuto suo figlio da suo padre” (commento Rashi Bereshìt 19: 37). È chiaro perciò che questo luogo fosse un luogo di immoralità, e di conseguenza anche qui la prova fu grandissima. Anche in ciò quindi c’è un giudizio positivo di attenuante verso il popolo d’Israele. In seguito, Moshè dice: “Di fronte a Suf” (Iam Suf / Mar Rosso). Vi è qui un’allusione “a quanto dissero, quando arrivarono al Mar Rosso”. È chiaro che anche qui vi è una visione positiva, che giustifica il popolo d’Israele: i Figli d’Israele, infatti, si trovarono allora nella condizione più difficile, poiché in quel momento non apparve loro alcuna via naturale di scampo, e quindi forse proprio per questo “dissero (quel che dissero, quando arrivarono) al Mar Rosso”.

L’onore di Israele
Anche riguardo al peccato del vitello d’oro, Moshè trovò modo di attribuire un qualche merito con l’allusione: “Dì Zahav”. Quando Moshè supplicò D-O di perdonare il popolo d’Israele per il peccato del vitello d’oro, disse: “Tu li hai portati a far ciò, in quanto hai dato loro oro in abbondanza e tutto ciò che desideravano; cosa avrebbero potuto fare se non peccare, in tali condizioni?” (Rashi Bereshìt 32:31). Quindi anche qui vi è un’attribuzione di merito, poiché il peccato del vitello d’oro fu causato dall’abbondanza di oro che confuse la mente dei Figli d’Israele. Abbiamo visto quindi fino a che punto bisogna stare attenti all’onore di Israele, tanto che, anche quando li si rimprovera per i loro peccati, bisogna farlo solo in modo allusivo ed anche attribuire loro un merito allo stesso tempo, poiché anche la discesa spirituale del popolo d’Israele è al fine di una ascesa, che la seguirà, un’ascesa che arriverà alla sua completezza nella Redenzione vera e completa.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 14, pag. 1)

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