Rosh HaShanà Pubblicato il 30 Settembre, 2024
Rosh HaShanà è il momento in cui l’Ebreo si lega completamente a D-O, accettandoLo come suo Padre e Re, e gridando a Lui dal più profondo del suo cuore.
Il grido di un bambino
Senza dubbio, il momento culminante della festa di Rosh HaShanà (Capodanno), denominato dai nostri Saggi “il precetto del giorno”, è il suono dello shofàr. Il Baal Shem Tov (fondatore del Chassidismo) ci offre un’allegoria nella quale egli paragona il suono dello shofàr ad un bambino che si trova in pericolo e grida a suo padre: “Padre, padre, salvami!” Il Rebbe Precedente (di Chabad) una volta raccontò di aver appreso dai Rebbe precedenti che il grido di per se stesso è persino più importante delle parole “Padre, padre salvami!” Dei due aspetti, del grido stesso e del suo contenuto, la cosa più importante non è la sostanza ed il contenuto del grido, ma il grido stesso. La sostanza ed il contenuto può variare da un Ebreo all’altro, mentre la capacità di gridare al proprio Padre appartiene in egual misura ad ogni Ebreo. E di fatto, ogni Ebreo grida a D-O. Il grido può essere così interiore da non essere avvertibile, ma ogni Ebreo grida a suo Padre nei Cieli, dal più profondo della sua anima. È questa quindi l’essenza del suono dello shofàr, a Rosh HaShanà: il grido rivolto a D-O che proviene dall’essenza più intima della nostra anima. E un tale richiamo viene certamente accolto in Alto.
Una seconda allegoria
Vi è un’ulteriore allegoria, usata da Rabbi Levi Izchak di Berditchev, che ci aiuta a comprendere meglio il fatto di poter essere certi che D-O accetti assolutamente ed incondizionatamente il nostro ‘grido’ dello shofàr. C’era una volta un bimbo che desiderava una mela, ma suo padre era restio a dargliela. In un baleno, il bimbo pronunciò la benedizione che si recita prima di mangiare un frutto, e così il padre, non potendo permettere che suo figlio recitasse una benedizione invano, fu costretto a dargli la mela. In questa analogia, noi vediamo come il Padre, persino nel caso in cui non intendeva agire con benevolenza verso il figlio, a causa di un suo cattivo comportamento, alla fine esaudisca il desiderio di Suo figlio, una volta che questi abbia fatto la giusta benedizione (nel nostro caso, il grido e l’atto appropriato). Quanto più ancora sarà questo il caso, quando la riluttanza del Padre ad esaudire la richiesta del figlio deriva solo dal Suo desiderio di provare la sua intelligenza. In un simile caso, quando il bambino dà prova della propria intelligenza, recitando l’appropriata benedizione, il Padre sicuramente lo esaudirà.
La garanzia che D-O ci ascolta
D-O certamente vuole darci tutto il bene possibile. Di fatto, Egli vuole elargirci ogni bene ancor più di quanto noi siamo capaci di desiderarlo. Ciò è conforme al detto dei nostri Saggi, di benedetta memoria: “Più di quanto il vitello desidera succhiare, la mucca desidera allattare”. D-O non solo desidera provvedere a tutti i nostri bisogni, Egli desidera anche che noi Lo serviamo, desidera il nostro servizio spirituale. Per questo, il fatto che il popolo Ebraico reciti la benedizione – “… Signore, che ascolta il suono dello shofàr del Suo popolo Israele con misericordia” – assicura che certamente D-O riceve il nostro grido con grande misericordia. E ciò è vero in particolare dal momento che, secondo la legge Ebraica, è proibito fare una benedizione, quando si è in dubbio se essa vada recitata. Il fatto stesso che gli Uomini della Grande Assemblea abbiano stabilito che noi dobbiamo recitare questa benedizione sullo shofàr, serve a provare con la massima chiarezza che il grido del nostro shofàr verrà ascoltato da D-O con misericordia. Ciò risulta dal fatto che D-O elargisce a ciascun Ebreo tutto quello di cui Egli ritiene abbia bisogno, sia spiritualmente sia materialmente, per tutto ciò che riguarda i figli, la vita ed il sostentamento. Dal momento che D-O ci dà la Sua bontà dalla Sua “mano piena, aperta e santa”, (come è scritto nel testo della benedizione che segue il pasto), certamente Egli ci elargisce tutto ciò nel modo più copioso ed abbondante. Tutte queste benedizioni sono comprese in quella che noi ci rivolgiamo l’un l’altro per il nuovo anno, e cioè di poter avere un “buon e dolce anno”, ed esse trovano poi espressione nella loro realizzazione concreta, e cioè in tutto il bene palpabile che noi riceviamo in modo manifesto.
I due aspetti di RoshHaShanà
Dalle due analogie precedentemente riportate, risulta che nel giorno di Rosh HaShanà vi sono due aspetti distinti che si fondono fra di loro in un insieme unico: quello di Rosh HaShanà dalla prospettiva del popolo Ebraico, corrispondente all’analogia del Baal Shem Tov del bambino che grida a suo padre; e quello di Rosh HaShanà dalla prospettiva di D-O, corrispondente all’analogia offerta da Rabbi Levi Izchak di Berditchev del padre che esaudisce la richiesta del figlio, una volta che questo ha pronunciato l’appropriata benedizione. Dalla prospettiva del popolo Ebraico, Rosh HaShanà è il momento in cui l’Ebreo si lega completamente a D-O, accettandoLo come suo Padre e Re, e gridando a Lui dal più profondo del suo cuore. Da parte Sua, D-O Si impegna con il popolo Ebraico, in modo da provvedere a noi con tutta l’abbondanza delle Sue benedizioni: “Io vi darò le vostre piogge al loro tempo…”, così che noi possiamo veramente gioire di un “buon e dolce anno.”
(Likutèi Sichòt, vol. 2, pag. 405 – 407)