Scegliere la nostra missione Pubblicato il 23 Giugno, 2024

L’esercizio della nostra libera scelta ha una posizione centrale nel nostro servizio Divino. Noi abbiamo la possibilità di adempiere alla volontà Divina, o di ignorarla, D-O non permetta, e la nostra sfida è quella di ‘scegliere la vita’, vivendo la nostra vita secondo il Suo desiderio.  

Un pilastro della nostra fede
Scrive il Rambam: “Ognuno può essere zadìk (giusto) come Moshè Rabbenu o malvagio come Yerovam… e non c’è proprio nessuno che lo costringa o decida per lui o che lo spinga a prendere una decisione anziché un’altra. È bensì l’uomo e l’uomo soltanto a decidere da sè, di propria volontà, ed a scegliere la via che desidera…. E questo è uno dei principi fondamentali ed uno dei pilastri su cui poggia la Torà e la mizvà, come è detto: ‘Vedi, pongo oggi dinnanzi a te la vita ed il bene, e la morte ed il male’, … la scelta, cioè, è tua. Tra le possibili azioni umane, l’uomo può compiere quella che desidera, buona o cattiva che sia… il Creatore non usa coercizione alcuna sugli uomini e non decreta affatto che essi compiano buone o cattive azioni, ma tutto è lasciato nelle loro mani.” (Hilchòt Hateshuvà cap. 5) D-O non ha creato l’uomo perché sia un automa. Egli gli ha dato invece la libera scelta, una facoltà unica, che lo distingue da tutte le altre forme di vita. Ogni altra creatura è regolata dalle leggi della natura o dai propri impulsi istintuali. L’uomo, al contrario, ha la facoltà di controllare la propria condotta e di agire secondo la propria iniziativa.

Due tipi di scelta
L’esercizio della nostra libera scelta ha una posizione centrale nel nostro servizio Divino. Noi abbiamo la possibilità di adempiere alla volontà Divina, o di ignorarla, D-O non permetta, e la nostra sfida è quella di ‘scegliere la vita’, vivendo la nostra vita secondo il Suo desiderio. In particolare, si aspettano da noi due tipi di scelte positive: 1) l’obbedienza ai precetti della Torà. D-O ci ha dato una serie molteplice di azioni che noi abbiamo il dovere di mettere in pratica, ed altre che ci è proibito di compiere. A volte, il fare ciò che ci è richiesto, o l’osservare le proibizioni che ci sono imposte, comporta un conflitto interiore, in quanto una simile condotta può essere del tutto contraria alle nostre tendenze naturali o ai nostri desideri. La nostra facoltà di scelta ci permette di esercitare un controllo e di annullare qualsiasi ostacolo che, dentro di noi, cerchi di intralciare l’adempimento della volontà Divina. 2) Il conformare il nostro carattere alla volontà Divina, anche quando non si è davanti ad un comando esplicito. Vi è un intero campo di attività, cui ci si riferisce col nome di ‘reshùt’, ossia ‘ciò che è permesso’. In questo campo, non ci viene detto cosa possiamo fare e cosa no. Questo non vuol dire, però, che non vi sia un modo appropriato di condotta, in linea con la volontà Divina, rispetto a queste attività. L’iniziativa, però, è lasciata a noi. Siamo noi, in questo campo, che dobbiamo cercare di scoprire la volontà Divina, e forgiare di conseguenza il nostro carattere. È di ciò che parla la mishnà che dice: “Fa la volontà di D-O come fosse la tua, affinché egli faccia la tua volontà come la Sua. Annulla la tua volontà di fronte alla Sua, affinché egli annulli la volontà degli altri di fronte alla tua.” (Pirkè Avòt 2:4) ‘Annullare la propria volontà di fronte alla Sua’, si riferisce alla sfida di rinunciare ai propri desideri, per obbedire ai comandi Divini. ‘Fare la Sua volontà come fosse la tua’, si riferisce ad una sfida ancora più grande: quella di forgiare il proprio carattere, in modo da riflettere ed esprimere la volontà di D-O, anche nelle situazioni dove manca uno specifico comando Divino.

Prendere l’iniziativa
Il compito di forgiare il proprio carattere, rappresenta un’espressione più completa della nostra facoltà di libera scelta. Quando viene dato un comando, anche se l’uomo ha l’alternativa di obbedirvi o meno, il fatto stesso che esso sia stato impartito da D-O induce all’obbedienza, dato che ogni Ebreo ha in sè un desiderio naturale di servire D-O e di adempiere alla Sua volontà. Inoltre, quando la volontà Divina è esplicita, la scelta che si pone all’uomo è lampante. Quando, invece, D-O non dà un comando esplicito, e l’uomo deve raffinarsi ed elevarsi fino al punto di essere in grado di valutare ciò che gli è richiesto, la sfida che gli sta di fronte, e la scelta che egli deve fare, è di gran lunga più comprensiva.

Una nuova fase
Questo approccio al servizio Divino rappresenta la nuova dimensione apportata dalla parashà Shelàch (“Manda…”). Rashi spiega come il popolo si fosse rivolto a Moshè con la richiesta di inviare delle spie ad esplorare la Terra d’Israele, e Moshè avesse riportato la loro richiesta a D-O. D-O, allora, gli rispose: “Dipende da te. Io non te lo comando. Se lo desideri, manda.” Ciò rappresentò una nuova fase nella relazione del nostro popolo con D-O. Precedentemente, la Torà aveva riportato i comandamenti che D-O aveva dato a Moshè, riguardo la condotta del popolo Ebraico. Essa aveva anche descritto determinate situazioni, come quella della seconda opportunità di portare il sacrificio Pasquale, quando gli Ebrei erano andati da Moshè con una richiesta, e Moshè l’aveva riferita a D-O. Ma anche in simili circostanze, D-O aveva risposto con un comando esplicito. Questa fu quindi la prima occasione, in cui D-O lasciò la cosa all’arbitrio di Moshè.

Costruire una dimora per D-O
Questo nuovo approccio nel servizio Divino, in cui l’iniziativa viene lasciata all’uomo, è associato all’obiettivo della missione delle spie: l’ingresso del nostro popolo nella Terra d’Israele. Lo scopo della vita nella Terra d’Israele è quello di formare una dimora per D-O, nella realtà dell’esperienza quotidiana. Più in particolare, questa dimora deve essere stabilita attraverso l’iniziativa dell’uomo. Se questa dimora si fondasse grazie ad una rivelazione dall’alto, essa sarebbe incompleta. Infatti, non vi risulterebbero inclusi l’uomo, così come egli è nel contesto della propria esistenza, ed il suo potere creativo. Quando invece l’uomo trasforma la propria volontà e, sulla base di questa sua metamorfosi interiore, procede a trasformare anche l’ambiente che lo circonda, il dimorare di D-O viene a far parte della nostra esistenza.

Affrontare l’insuccesso
Dato che, in questo contesto, l’accento è posto sull’iniziativa dell’uomo, è data qui anche la possibilità di sbagliare. Il termine stesso di libera scelta comporta il fatto che si possa prendere la decisione sbagliata. E nella parashà in questione, questa possibilità si realizzò di fatto. Al loro ritorno, le spie disseminarono il panico tra il popolo Ebraico, generando in loro la paura di entrare nella Terra d’Israele. Ma anche in questo caso, come risulta dalla narrazione dei fatti, l’enfasi è posta sull’iniziativa dell’uomo, poiché un errore può essere corretto attraverso il pentimento. Il pentimento ed il ritorno a D-O ed alla Sua volontà, richiedono infatti che la persona raggiunga la sua parte più profonda e da lì raduni le proprie forze interiori, così da poter ristabilire il legame con D-O, che la sua condotta impropria ha spezzato. Attraverso questo processo, una persona può raggiungere un livello anche superiore a quello precedente, nel suo servizio Divino. A questo proposito scrivono infatti i nostri Saggi: “Il Giusto perfetto non può stare nel posto dove sta il baal teshuvà (colui che si è pentito ed è tornato a D-O)”. In ogni caso, la possibilità della teshuvà esiste anche là dove non vi è peccato, poiché l’avvicinamento ed il rafforzamento del legame con D-O, Che è infinito, non ha limiti e riguarda il servizio di ognuno, compreso quello dei Giusti.

La missione del nostro popolo
Questi concetti trovano allusione nel titolo della parashà: Shelàch (manda). Ciò indica che ogni Ebreo in particolare, ed il popolo in generale, è un inviato, incaricato di una missione da compiere nella propria vita e nel proprio ambiente. Questa missione è ciò che permette sia all’individuo sia alla collettività di progredire ed elevarsi. Per l’individuo si tratta della discesa della propria anima dai mondi superiori, fino a vestirsi di un corpo, all’interno di una esistenza materiale. E proprio utilizzando entità materiali a scopo spirituale, l’anima riceve la possibilità di elevarsi. In senso più generale, ciò si riferisce al compito dell’intero popolo di fare del nostro mondo una dimora per D-O. ‘Inviati’ di continente in continente, gli Ebrei hanno faticato migliaia di anni per questo obiettivo, aggiungendo contenuto spirituale all’esistenza del mondo, attraverso la loro osservanza della Torà e dei precetti. Questo obiettivo ora, non è più uno scopo astratto. Al contrario, noi siamo alla soglia della Redenzione, solo un attimo prima del compimento di questo compito, attraverso l’avvento di Moshiach. Ed allora, noi meriteremo la completa realizzazione della promessa, che si trova nella nostra parashà: “”Io li condurrò ed essi conosceranno il paese.” Possa ciò accadere subito.

(Adattato da: Sèfer haSichòt 5749, vol. 2, pag. 536; Sèfer haSichòt 5750, pag. 517; discorso di Shabàt parashà Shelàch, 5745)

Lascia un commento

Devi essere registrato per pubblicare un commento.