Teshuvà Pubblicato il 2 Ottobre, 2024
Il servizio del pentimento e del ritorno a D-O si impone a noi in modo particolare in questo periodo dell'anno, nella sua massima estensione e profondità. È di fondamentale importanza, quindi, comprenderne la sua importanza ed il suo significato.
La mizvà della teshuvà (pentimento, ritorno) è il Servizio che caratterizza il mese di Tishrei. È indispensabile quindi comprendere bene cosa si intenda veramente per teshuvà, affinché il nostro sforzo sia rivolto nella giusta direzione. L’Admòr haZakèn (primo Rebbe di Lubàvich, compilatore del Tania e del Shulchàn Arùch), nell’Ighèret haTeshuvà, rivela chiaramente, fino alla sua essenza più profonda, il significato della teshuvà. Teshuvà non è digiuno, autoafflizione, e non è neppure l’atto del confessare. Teshuvà è: ritornare ad HaShem per merito del fatto, che abbandoniamo il peccato. Cosa vuol dire abbandonare il peccato? Secondo le parole dell’Admòr haZakèn: “Basta decidere nel proprio cuore, con tutta sincerità, di non ripetere mai più la follia di ribellarsi alla Sua sovranità, sia Egli benedetto; e non violare mai più un comando del Re, D-O ci guardi, né un precetto positivo, né una proibizione.” Abbandonare il peccato è quindi il rinnovamento della nostra accettazione del giogo del Regno dei Cieli, la qual cosa farà in modo che l’uomo non cada più in nessun peccato al mondo.
Per ‘tornare be teshuvà‘, quindi, non basta decidere di non ripetere più il peccato, nel quale si è già caduti. Bisogna invece prendere l’impegno di non ribellarsi più alla sovranità di HaShem e di non peccare più in assoluto, qualsiasi sia il tipo di peccato, sia che esso trasgredisca ad un precetto positivo, che ad uno negativo. Per fare un esempio: uno è caduto nel peccato della maldicenza, e vuole fare teshuvà. Molti pensano che, pentendosi e decidendo di non fare più in futuro della maldicenza, egli faccia, così, una teshuvà completa. Ma non è così! Ciò non basta. La vera teshuvà è l’accettazione su di noi del giogo del regno dei cieli, così che non si arrivi più a nessun peccato, di nessun tipo.
Perché il pentimento rispetto ad un peccato, alla trasgressione di una mizvà, deve comportare l’accettazione dell’obbligo di tutte le mizvòt? Nel momento in cui un uomo pecca, egli cade in due diversi modi. Il primo, più generale, in quanto egli, facendo l’opposto della volontà di HaShem, si ribella alla Sua sovranità stessa, rifiutandosi quindi di essere sottomesso al Re. Il secondo, più particolare, in quanto nel momento del peccato, egli danneggia la propria anima, secondo la conseguenza, che quel particolare peccato causa. Accettando nuovamente il giogo del Regno dei Cieli, l’obbligo di tutte le mizvòt, egli pone riparo alla sua caduta, sia generale, sia particolare.“Tu farai ritorno all’Eterno, il tuo Signore, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, e darai ascolto alla Sua voce, secondo quanto io ordino a te ed ai tuoi figli.” (Devarìm 30, 2) Questa è la mizvà della teshuvà, secondo la Torà.
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