Trovare rifugio Pubblicato il 2 Settembre, 2024
Come la Torà è una “città di rifugio” che offre salvezza ai peccatori, così esiste anche un tempo particolarmente adatto alla teshuvà, e questo è il mese di Elul. Questo mese è la “città di rifugio” dai peccati commessi durante l’anno. Noi dobbiamo approfittare della forza che esso ci dà per fare teshuvà.
“Questo è il caso in cui chi ha ucciso può rifugiarsi là e sopravvivere” (Devarìm 19:4)
Nella parashà Shofetìm, la Torà descrive dettagliatamente il precetto riguardante la necessità di costruire delle ‘città di rifugio’, nelle quali possa trovare riparo l’omicida non intenzionale. Chi aveva ucciso per sbaglio, doveva fuggire subito in una di queste città e risiedervi fino alla morte del Sommo Sacerdote, per evitare che chi avesse avuto motivo di vendicarsi, in quanto parente dell’ucciso, inseguendo l’uccisore, lo raggiungesse e lo colpisse a morte.
La Torà è eterna
Non solo l’uccisore non intenzionale trovava salvezza nelle città rifugio, ma anche quello intenzionale. I nostri Saggi dicono: “Quello non intenzionale e quello intenzionale come prima cosa si affretta verso le città di rifugio.” Chiunque avesse ucciso un uomo, cioè, sia che lo avesse fatto per sbaglio, sia che lo avesse fatto con premeditazione, come prima cosa doveva fuggire verso una città di rifugio. Lì, l’omicida era protetto dal ‘vindice di sangue’, dopodiché il Beit Din lo veniva a prendere per giudicarlo ed emettere la sua sentenza. Vediamo così che anche l’omicida intenzionale trovava salvezza (perlomeno al momento), grazie alle città rifugio. Dopo la distruzione del Tempio e l’esilio del popolo d’Israele dalla Terra d’Israele, le città rifugio esistenti allora, furono annullate. Noi però sappiamo che la Torà è eterna e che le sue disposizione sono eterne e valide in ogni luogo ed in ogni tempo. Dobbiamo quindi per forza dire che anche le città rifugio hanno una loro esistenza perenne, solo che nel tempo presente esse assumono una forma diversa.
Il pentimento è efficace
I nostri Saggi dicono: “Le parole della Torà danno rifugio”. La Torà, cioè, è un ‘rifugio’. Essa è una via di salvezza per chi ha ucciso. Cosa si intende con ciò? L’’omicida’, in senso spirituale, è chiunque abbia peccato, fino al punto di procurare una ‘morte spirituale’ alla propria anima. I precetti formano come una corda che trasmette vita all’anima, mentre i peccati danneggiano questa corda, spezzando i fili attraverso i quali l’anima riceve la propria vitalità. La Torà dice che persino chi ha ucciso, ossia ha peccato al punto di staccare la sua anima dalla fonte della vita, ha comunque la possibilità di trovare un ‘rifugio’: se farà una completa teshuvà (pentimento, ritorno) e si attaccherà alla Torà, potrà salvarsi. In questo senso, noi godiamo oggi persino di un vantaggio in più, rispetto ai tempi del Beit haMikdàsh. Quando esisteva il Tempio, il peccatore non poteva espiare i propri peccati, solamente attraverso la teshuvà. Chi aveva ucciso per sbaglio, doveva restare nella città di rifugio fino alla morte del Sommo Sacerdote. Chi aveva ucciso intenzionalmente e si riscontravano in lui tutte le condizioni necessarie per arrivare ad una condanna a morte, veniva giustiziato. Oggi, invece, una sincera teshuvà è efficace anche nei casi dei peccati più gravi.
Un mese di rifugio
Spiegano i nostri Saggi che, all’epoca del Tempio, quando molte delle punizioni da assegnare erano affidate come compito al Beit Din di questo mondo, la teshuvà non poteva annullare una pena stabilita dal tribunale. Questo, in quanto un giudice non può basarsi altro che su quanto gli è dato di vedere, mentre egli non può sapere se l’imputato si è pentito e fino a che punto il suo pentimento è sincero. Quando però, dopo la distruzione del Tempio, è stata annullata la possibilità per un tribunale terreno di giudicare i casi di omicidio, e per quei tipi di peccato sono rimaste solamente le punizioni stabilite direttamente dall’Alto, dal momento che è evidente che agli occhi di D-O è noto e manifesto anche ciò che avviene nel cuore dell’uomo, se egli si pente completamente dei suoi peccati, la teshuvà è efficace anche nel caso dei peccati più gravi. E come la Torà è una “città di rifugio” che offre salvezza ai peccatori, così esiste anche un tempo particolarmente adatto alla teshuvà, e questo è il mese di Elul. Questo mese è la “città di rifugio” dai peccati commessi durante l’anno. Noi dobbiamo “fuggire” nel mese di Elùl, “insediarci” in esso, approfittare della forza che esso ci dà per fare teshuvà, ed allora ci viene promesso che meriteremo un buono e dolce anno nuovo.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 2, pag. 623)