Un bastone di legno di mandorlo Pubblicato il 8 Agosto, 2024
Il profeta Geremia, nella sua profezia riguardante la distruzione del Primo Tempio disse “Io vedo un bastone di legno di mandorlo”, alludendo ai ventun giorni del periodo chiamato Bein haMezarìm, Per trasformare l’amaro in dolce e l’esilio in redenzione, dobbiamo essere fermi e inflessibili come un bastone, nel nostro servizio Divino.
Bein haMezarìm
I nostri Rabbini ci dicono che, quando il profeta Geremia, nella sua profezia riguardante la distruzione del Primo Tempio e il successivo esilio babilonese, disse “Io vedo un bastone di legno di mandorlo”, alluse ai ventun giorni del periodo chiamato Bein haMezarìm (‘Fra le Ristrettezze’), che vanno dal 17 di Tamùz al 9 di Av. I nostri Saggi dicono: “Il mandorlo impiega ventun giorni dal momento della sua fioritura fino alla maturazione dei suoi frutti, corrispondenti ai ventun giorni che intercorrono fra il 17 di Tamùz, quando fu aperta una breccia nelle mura di Gerusalemme, e il 9 di Av, quando il Tempio andò in fiamme.” A prima vista, il rapporto fra il periodo di maturazione delle mandorle e Bein haMezarìm sembra riguardare solo la corrispondenza dei giorni: vent’uno. Dal momento però che ogni aspetto della Torà è preciso in ogni suo dettaglio, è logico pensare che vi sia anche una connessione più profonda fra il bastone di legno di mandorlo e i ventun giorni del periodo del Bein HaMezarìm.
Trasformare l’amaro in dolce
Ci sarà più facile capire questo collegamento, premettendo l’affermazione della Mishnà (Masròs 1:4; Chulìn 25b) che parla di due tipi di mandorle: quelle amare e quelle dolci. Le mandorle amare, quando sono ancora piccole sono dolci, ma diventano amare crescendo; le mandorle dolci, invece, sono amare quando sono piccole e diventano dolci quando raggiungono la loro piena maturazione. Il Gaòn di Rogachòv spiega che il termine ‘mandorle’ (shkedìm) si riferisce propriamente a quelle che diventano dolci quando sono mature, mentre quelle che maturando diventano amare sono chiamate luzim. La natura della mandorla (shakèd), quindi, e l’effetto della sua maturazione in ventun giorni, è quello di trasformare l’amaro in dolce. Ed ecco il motivo per il quale l’allusione ai giorni del Bein HaMezarìm è fatta tramite il ‘bastone di legno di mandorlo’: il tema principale di questo periodo di ventun giorni è che l’Ebreo, tramite il suo servizio spirituale, non solo annulla l’‘amarezza’ di questi giorni, ma ancor più trasforma questi giorni in “Giorni di Festa e in giorni di gioia e allegria”.
Bastone e ramo
Quanto detto ci aiuta a comprendere meglio anche un altro aspetto della profezia: la metafora del “bastone di legno di mandorlo” come allusione al Bein haMezarìm si riferisce alla velocità di crescita delle mandorle stesse: ventun giorni. Se così, perché è stata usata l’espressione “un bastone di legno di mandorlo” e non “un ramo di mandorlo completo di mandorle”? Possiamo pensare che a Geremia fu mostrato un bastone, poiché un bastone è qualcosa che ricorda l’atto di colpire, ed è quindi un allusione alle punizioni e alle sofferenze fatte provare da D-O al popolo d’Israele in quei giorni. Le cose, però, non stanno così. L’aspetto principale della profezia, infatti, è la prontezza (shoked, dalla stessa radice del termine ebraico per mandorla, significa agire con prontezza,) che deve trapelare dagli eventi. La profezia infatti dice: “La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: ‘Che cosa vedi tu, Geremia?’. Ed io risposi: ‘Io vedo un bastone di mandorlo’. Ed il Signore mi disse: ‘Hai visto bene: infatti Io sto per affrettarmi (shokèd) ad eseguire quel che ho detto.’” Di fatto, il concetto della prontezza è così primario qui, da non lasciare al verso il posto per parlare esplicitamente di alcuna punizione. Se il tema del verso è quindi la trasformazione dell’amaro in dolce, come abbiamo spiegato, anche la scelta dell’immagine di un bastone la si potrà comprendere in questo senso.
Perché proprio un bastone?
Un ramo, in particolare quando è attaccato all’albero, mantiene la sua umidità e flessibilità, mentre un bastone, che è ormai separato dall’albero, diventa secco e rigido. Ed è proprio l’allontanamento dalla propria origine che fa sì che il ramo flessibile si trasformi in un bastone duro e rigido. In termini spirituali, il significato è questo: il ‘ramo’ allude al popolo Ebraico, quando è attaccato alla sua origine. In generale, ciò si riferisce all’epoca in cui esisteva il Tempio e il popolo Ebraico abitava nella Terra d’Israele, quando tutti noi, Figli d’Israele, potevamo “salire, presentarci e prostrarci davanti a Te” (dalla preghiera addizionale di Yom Tov). A quel tempo, tutto il popolo d’Israele sentiva il collegamento con la propria origine. Il bastone, d’altra parte, denota la condizione del popolo Ebraico nel tempo dell’esilio, quando la connessione dell’Ebreo con la sua fonte non è manifesta; un tempo nel quale il Divino è occultato e molti ostacoli si oppongono al servizio Divino. Eppure, è proprio il servizio spirituale del popolo Ebraico in questi tempi difficili a rivelare la fermezza e il carattere inflessibile dell’Ebreo: persino in tempi simili un Ebreo affronta le avversità, superando i molteplici ostacoli e difficoltà che si ergono nel suo cammino spirituale. Alla fine, egli prevarrà fino a raggiungere l’apice del servizio spirituale: la trasformazione dell’amarezza dell’esilio nella dolcezza dell’imminente redenzione. Possiamo quindi dire che l’allusione al ‘bastone’ nella profezia di Geremia si riferisce proprio alla durezza del bastone: per trasformare l’amaro in dolce (che è la proprietà delle mandorle) e l’esilio in redenzione, dobbiamo essere fermi e inflessibili come un bastone, nel nostro servizio Divino.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 33, pag. 194-196)