Vedere il bene Pubblicato il 27 Ottobre, 2024
Il Baal Shem Tov dice che, quando noi vediamo qualcosa di male nel nostro prossimo, ciò dimostra che quello stesso male riguarda in qualche modo anche noi stessi. Vedere il male negli altri è simile a guardarsi nello specchio. Se D-O ha fatto in modo che noi vediamo il male nel nostro prossimo, è per dirci di correggere quello stesso difetto in noi stessi.
La necessità di un linguaggio pulito
La Torà, enumerando tutti gli animali che entrarono con Noach e la sua famiglia nell’arca, usa i termini: “Delle bestie pure e delle bestie che non erano pure”. Avrebbe potuto dire più in breve: “delle bestie impure”. Perché la Torà, che è precisa in ogni sua parola ed in ogni sua lettera e che non ne aggiunge mai alcuna che non sia essenziale, usa qui delle lettere che possono sembrare apparentemente superflue? Per insegnarci a parlare con un linguaggio pulito. I nostri Saggi hanno detto: “L’uomo non pronunci mai alcun termine indecente”. Eppure, noi troviamo che nella Torà l’uso del termine ‘impuro’ o di altri simili viene fatto più di cento volte. Perché dunque la Torà usa a volte il termine ‘impuro’, che è un’espressione negativa, mentre altre volte si dilunga, pur di attenersi ad un linguaggio pulito? La risposta sta nel fatto che, quando si tratta di leggi halachiche, la Torà usa il linguaggio più chiaro possibile, affinché l’halachà venga compresa al meglio, anche se a questo scopo sia necessario servirsi di termini negativi. L’halachà è scritta in modo diretto e chiaro, mentre per quel che riguarda le narrazioni, la Torà si serve di un linguaggio pulito usando, se necessario, delle circonlocuzioni.
La realtà è uno specchio
Dalla parashà Noach noi impariamo a fare attenzione al nostro modo di parlare ed anche al nostro modo di guardare. La parashà racconta di come i figli di Noach, Shem e Yèfet, abbiano preso tutte le precauzioni possibili, per non guardare la nudità del loro padre, che si era ubriacato: “camminarono all’indietro… con il volto girato, e non videro la nudità del loro padre” (Bereshìt 9: 23). Essi furono attenti e si girarono per non vedere cose negative. Il Baal Shem Tov dice che, quando noi vediamo qualcosa di male nel nostro prossimo, ciò dimostra che quello stesso male riguarda in qualche modo anche noi stessi. Vedere il male negli altri è simile a guardarsi nello specchio. Tutto quello che succede nel mondo non è casuale, ma voluto dalla Divina Provvidenza. Se D-O ha fatto in modo che noi vediamo il male nel nostro prossimo, è per dirci di correggere quello stesso difetto in noi stessi. Perché ci viene fatto vedere dall’Alto quello che dobbiamo correggere, tramite qualcun altro che abbia quello stesso difetto? Poiché è difficile per l’uomo riconoscere i propri difetti. Proprio quando vede un altro fare qualcosa che non va, la persona è stimolata a controllare se stessa ed a migliorare il proprio comportamento.
Il lavoro con noi stessi ed il lavoro con gli altri
Ogni Ebreo, però, si deve preoccupare non solo di se stesso, ma anche degli altri. Deve cercare di aiutare anche l’altro a migliorare la propria condotta. Può accadere allora che, quando vediamo un altro Ebreo fare qualcosa di male, noi siamo portati a pensare che la Divina Provvidenza ce lo ha mostrato perché facciamo sì che quello si penta, per correggerlo, e non per trovare in noi quello stesso male. Per questo compare nella nostra parashà il verso apparentemente ridondante: “e camminarono all’indietro… e non videro la nudità del loro padre”. È chiaro infatti che, camminando all’indietro, con gli occhi nella direzione opposta, essi non avrebbero potuto vedere e di fatto non videro ciò che non dovevano vedere. Perché il verso ha cura di evidenziare così la cosa? I figli di Noach non solo non videro con i loro occhi quello che non andava visto, ma non videro il male neppure con gli occhi dello spirito. Essi non percepirono una mancanza nel loro padre, non sentirono che egli avesse fatto qualcosa di male. La loro attenzione fu rivolta solo al proprio compito, a ciò che essi avrebbero potuto fare per aiutarlo, a quello che essi avrebbero dovuto aggiustare. L’Ebreo che vede compiere una cattiva azione, per quel che riguarda l’altro, non deve sentire per nulla che questi ha fatto qualcosa di male, ma solo ciò che lui stesso deve fare, cosa può fare per aiutarlo a migliorare ed a riparare. Per quel che riguarda se stesso, invece, pur vedendo che il suo compagno ha fatto qualcosa di male, e pur sentendo fino a che punto questi sia nel torto e quanto sia negativo il suo agire, ciò che egli deve fare è considerare tutto ciò come un suggerimento diretto a lui dal cielo. Se l’hai visto, è segno che quello stesso male è anche dentro di te, e che devi correggerlo. Dalla nostra parashà, noi impariamo che, quando sentiamo o vediamo qualcosa di male riguardo a un altro Ebreo, non solo non dobbiamo andare a raccontarlo ad altri, ma non dobbiamo neppure rivolgervi il nostro pensiero! Dobbiamo solo aiutarlo a rimediare, e persino nel fare ciò, dobbiamo cercare di ‘non vedere’ il male.
(Riassunto da Likutèi Sichòt, vol. 10, pag 24 – 29)