Una multa pagata dal Rebbe Pubblicato il 29 Marzo, 2012

Quando la logica si arrende per lasciare il posto alla fede, sorprese e miracoli diventano all'ordine del giorno.

Eyal Kaufman, oggi studente della yeshivà Chabad di Ramat Aviv, racconta la sua storia. “Ho cominciato ad avvicinarmi all’Ebraismo grazie a mio padre che, un bel giorno, di punto in bianco, senza alcuna ragione apparente, decise di iniziare a celebrare le feste e le tradizioni Ebraiche. Fino ad allora eravamo stati una famiglia non religiosa, come tante. Piano piano l’atmosfera in casa cominciò a cambiare e ciò non poté non avere un’influenza anche su di me. Iniziai a frequentare il Beit Chabad condotto da rav Yosef Yizchak Bekerman, dove ben presto mi sentii di casa. Le itvaduiòt (incontri gioiosi chassidici), le preghiere, le lezioni di Torà, ma soprattutto il calore e la cordialità che regnavano nel Beit Chabad mi conquistarono. Gradualmente, ma con decisione, iniziai a cambiare il mio stile di vita e divenni un baal teshuvà.

   La cosa principale che mi attrasse fu la personalità del Rebbe, nonostante all’inizio non riuscissi a comprendere la grande fede che i suoi chassidìm nutrivano per lui e tutto ciò che vi si accompagnava. Chiunque conosca rav Bekerman sa certamente quanto egli sia una persona unica, che combina in sé cordialità, pazienza, calore ed amore, con l’intensità e la passione caratteristici di Chabad. Sento di dovergli molto per avermi collegato alla Chassidùt. Ma ecco la storia:

  Quel venerdì mattina ero solo nel Beit Chabad e avevo appena finito ti togliermi i tefillìn al termine della preghiera quando, all’improvviso, un ispettore municipale fece il suo ingresso con aria severa. “Chi è il responsabile qui?” Senza scompormi, indicai con un sorriso me stesso e gli chiesi perché fosse così serio. L’uomo non si lasciò impressionare dal mio approccio caloroso e arrivò subito al punto. “Voi avete un debito con la municipalità per aver messo una immagine del Rebbe sulla facciata del Beit Chabad. Si tratta di un’affissione senza permesso.” Prima ancora di avere il tempo di realizzare quanto stava accadendo, l’uomo pose davanti a me una multa di cinquecento shekel e se ne andò senza aggiungere altro.

  Ero allibito, ma i miei pensieri furono interrotti dall’ingresso di una donna di mezza età, dall’aspetto molto intellettuale, il tipo pronto a correggerti al minimo errore di grammatica. Il suo viso era teso e preoccupato, mentre mi chiedeva se ci fosse un rabbino disposto ad aiutarla a risolvere un problema. Nonostante avessi compiuto grandi progressi nel campo della Torà e della Chassidùt, ero pur sempre un principiante, ma ciò che avevo ormai già visto e compreso è che quando un Ebreo è in difficoltà, egli può rivolgersi al Rebbe. Invitai quindi la donna a scrivere una lettera al Rebbe tramite l’Igròt Kodesh (una raccolta di lettere del Rebbe) ed ella accettò la proposta. Mi sentii un po’ nervoso poiché, dopotutto, non avevo nessuna esperienza personale di ciò e conoscevo solo le varie storie in proposito, che gli amici mi avevano raccontato. E se il Rebbe non le avesse risposto?

  Ormai non potevo più tirarmi indietro. Insegnai alla donna tutte le preparazioni spirituali necessarie per potersi rivolgere al Rebbe e fra esse, la più importante, quella di prendere su di sé una buona decisione riguardo il proprio servizio Divino, l’aggiunta di una mivzà o di una cura più particolare nell’adempimento di una mizvà,  in modo da divenire un recipiente adatto a ricevere la benedizione. La donna scrisse la sua lettera e la introdusse in uno dei volumi dell’Igròt Kodesh. Iniziammo a leggere le risposte che apparivano in quella pagina e che parlavano di fede in D-O e nell’arrivo di Moshiach. In una delle lettere mi trovai in difficoltà a causa di numerose abbreviazioni che comparivano nel testo, e che ancora non conoscevo bene. Approfittai quindi della presenza di un chassìd, che era appena entrato nel Beit Chabad, per chiederne l’aiuto. In quel momento, un urlo di sorpresa uscì dalla bocca della donna. “Ecco! Questo è l’uomo che mi esaspera continuamente!” Sbalordito la guardai. Oltre a noi tre, non vi era nessun altro nella stanza e non capivo a chi si riferisse. Dopo essersi calmata un po’, la donna mi pregò di rileggerle la lettera.

  Il Rebbe rispondeva ad un’allieva che aveva un insegnante che non la capiva e che le rendeva le cose molto difficili. Il Rebbe la incoraggiava e le chiedeva di mostrare la sua lettera a quell’insegnante, il cui nome era Mr. Pinsker. A quel punto, la donna spiegò la propria reazione. Ella era un’insegnante di lettere che da anni cercava di procurarsi un’ulteriore specializzazione nel suo campo, ma ogni progetto di tesi presentato fino ad ora ad un certo docente dell’università era stato sistematicamente rifiutato. Quel docente faceva di tutto per impedirle una riuscita ed il suo nome era… Pinsker! Mi sentii pervaso dall’emozione e da un grande senso di attaccamento e amore per il Rebbe. Per la prima volta avevo vissuto di persona l’esperienza di come egli possa rispondere in maniera così cristallina e diretta. Prima di andarsene, la donna lasciò un’offerta per il Beit Chabad. “Datelo al vostro Rebbe”, disse, porgendo un assegno. Quando guardai la cifra, per poco non urlai dall’eccitazione: cinquecento shekel! L’ammontare esatto della multa imposta al Beit Chabad solo mezz’ora prima!

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