Noi abbiamo un rifugio Pubblicato il 31 Luglio, 2020

...egli dovrà ricordarsi allora che proprio questo è il suo compito e la sua missione nel modo: salvare anche un solo Ebreo e condurlo al ‘rifugio’ della Torà.

Baren landscape at sunset with a road that forks to the right and left with a blank sign post at the fork

“Allora Moshè separò tre città… affinché potesse fuggirvi l’omicida” (Devarìm 4:41-42)
La parashà Vaetchanàn parla delle città di rifugio che stabilì Moshè. Le città di rifugio avevano la funzione di accogliere chi aveva ucciso un uomo e proteggerlo dal ‘vindice del sangue’, da chi cioè aveva motivo di vendicarsi per il sangue versato, fino al momento del giudizio. La Ghemarà descrive le vie che conducevano alle città di rifugio: la loro larghezza doveva essere di 23 amà (braccia) e ad ogni crocevia doveva esservi un cartello, sul quale fosse scritto ‘Rifugio – Rifugio’. Tutto ciò, per permettere più facilmente al fuggitivo di trovare la città di rifugio. La Torà e tutti i suoi insegnamenti sono, come è noto, eterni. Il significato spirituale delle città di rifugio deve quindi riguardare ogni epoca, compresa la nostra, anche se queste città per ora, e fino alla redenzione, non sono attuali. Anche al nostro tempo noi abbiamo a disposizione una ‘città di rifugio’, in grado di espiare ‘l’uccisione’.

L’uccisione che riguarda lo spirito
I nostri Saggi hanno detto: “Le parole della Torà danno rifugio”. Le parole di Torà sono quindi come delle ‘città di rifugio’ spirituali, capaci di accogliere e proteggere chi ha ‘ucciso’ in senso spirituale. È considerato in questo senso ‘uccisore’, chi ha reciso il collegamento della propria anima dalla sua vera fonte di vita, dalla Torà e dai suoi precetti, che sono “la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni”. Chi ha peccato ed ha trasgredito ai comandi della Torà, ha reciso in questo modo i canali attraverso i quali la sua anima riceve la vita. Gli dice allora la Torà: ‘Non ti scoraggiare – c’è un ‘rifugio’. Ci si può sempre riparare nella Torà e trovare salvezza. Le strade ben pavimentate che conducevano alle città di rifugio alludono al fatto che anche la via che porta alla Torà è facile ed ampia. I cartelli posti ai crocevia ci indicano che D-O Stesso mostra all’Ebreo la direzione che deve prendere e gli segnala: “Rifugio – Rifugio”, “Scegli la vita!” (Devarìm 30:19).

Uscire al crocevia
Per meritare però di essere guidati da D-O in modo così diretto, anche noi ci dobbiamo comportare in modo simile: “misura per misura”. Noi dobbiamo fare come Lui: andare ai ‘crocevia’, nei luoghi dove si trovano Ebrei che hanno ‘ucciso’, che hanno reciso cioè il loro legame con la Torà, la fonte della loro vitalità, disporci lì, come cartelli viventi, e mostrare la luce che è nella Torà. Annunciare: “Rifugio – Rifugio!”, girate a destra, verso la via della vita e della Torà! “Provate e vedrete che D-O è buono” (Salmi 34:9). C’è chi potrebbe dire però di non voler mettersi ad un crocevia, dove si trova in agguato la via che conduce nella direzione opposta. Egli dovrà ricordarsi allora che proprio questo è il suo compito e la sua missione nel modo: salvare anche un solo Ebreo e condurlo al ‘rifugio’ della Torà.

Conviene fare uno sforzo
È noto il detto del Baal Shem Tov: “Un’anima scende in questo mondo e vive settanta – ottant’anni, e tutto ciò, per fare un favore ad un Ebreo in campo materiale e, in particolare, in quello spirituale.” Da ciò è chiaro che conviene stare ad un crocevia, anche solo per la possibilità di salvare un Ebreo e condurlo alla Torà. Bisogna porci come cartelli luminosi, anche se non vediamo da ciò risultati in modo manifesto. Noi dobbiamo adempiere al nostro compito, e D-O farà la Sua parte. Ci è stato promesso che D-O ricompenserà, misura per misura, e ci aiuterà a sfuggire il ‘vindice del sangue’, e cioè l’istinto del male, e a scegliere sempre soltanto la via della vita.
(Likutèi Sichòt, vol. 2, pag. 363)

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