I pozzi di Izchak: un Santuario interiore Pubblicato il 12 Novembre, 2023

Come un pozzo è, per così dire, la ‘casa’ dell’acqua viva, dalla quale essa scorre, così anche il Tempio è la casa di D-O, dalla quale scorre la vitalità spirituale.  

Tre pozzi, tre Templi

Nella parashà di Toledòt si parla di un curioso incidente riguardante  tre pozzi, che Izchak fece scavare. Per i primi due pozzi sorse una contesa con i filistei, mentre solo sul terzo non vi fu disputa e le sue acque rimasero accessibili. È risaputo che “le azioni dei padri sono un segno per i figli.” Gli eventi della vita dei Patriarchi indicano l’attività spirituale che i loro discendenti, il popolo Ebraico, devono perseguire. Inoltre, dal momento che il Rebbe ha profetizzato che “il tempo della vostra Redenzione è arrivato”, l’insegnamento che noi ricaviamo da un particolare episodio, deve focalizzarsi su cosa noi dobbiamo fare per  preparare il mondo all’avvento di Moshiach. Il Ramban nota che, non sembrando esserci alcuna ragione per la storia dei pozzi a livello del significato semplice e letterale, l’occuparsi della Torà così a lungo degli scavi di Izchak deve alludere a eventi riguardanti il futuro. La conclusione del Ramban è che essi alludono ai tre Templi. Un pozzo, infatti, è un luogo dove si raduna dell’acqua; il suo scopo è di dare accesso all’acqua. Si può dire che il pozzo è il luogo dove l’acqua risiede. L’acqua del pozzo, inoltre, è descritta come “acqua viva”, ciò che indica movimento, vitalità e purezza. Il profeta Geremia usa questa metafora per la forza vitale che D-O infonde costantemente a tutta l’esistenza, descrivendo D-O come la sorgente dell’acqua viva. Come un pozzo è, per così dire, la ‘casa’ dell’acqua viva, dalla quale essa scorre, così anche il Tempio è la casa di D-O, dalla quale scorre la vitalità spirituale. Il primo pozzo, che fu chiamato Essek, ‘disputa’, allude quindi al Primo Tempio; il secondo, Sitnà, ‘accusa’, allude al Secondo Tempio, mentre Rechovòt, ‘luoghi spaziosi’, allude al Terzo Tempio, che verrà costruito in futuro, senza contesa né opposizione, possa essere ciò subito ai nostri giorni.

Una dimora per D-O
Andando più in profondità, si può vedere un’ulteriore connessione fra i Templi e lo scavo dei pozzi. Un pozzo è il risultato del lavoro e dello sforzo dell’uomo. L’acqua che vi scorre dentro, invece, non proviene dal lavoro dell’uomo. È possibile dire, piuttosto, che tutto quello che l’uomo fa, è solo rimuovere la terra che ricopre l’acqua; scavando, egli permette all’acqua che è già lì, pronta, di essere trovata. La struttura del pozzo, quindi, è di natura umana, mentre il contenuto la trascende. La stessa cosa è vera anche per il Tempio. D-O ordinò agli Ebrei: “FateMi un Santuario, ed Io dimorerò in essi.” Da un lato, la Presenza Divina, che trascende la comprensione umana, dimorerà nel Popolo Ebraico, dentro ciascun Ebreo; d’altro lato, vi è un comando di costruire un santuario, di creare una struttura in cui questa Presenza possa dimorare. Proprio come un uomo scava un pozzo, dando forma alle sue pareti, prima che l’acqua possa penetrarvi, così l’azione dell’Ebreo, la costruzione del Santuario, deve precedere il dimorare della Presenza Divina. Inoltre, la costruzione di un pozzo non è semplicemente una preparazione, ma una parte integrante della sua esistenza. La costruzione del pozzo permette che l’acqua divenga accessibile ed utilizzabile. Così anche per il Tempio. La costruzione del Tempio non è un fattore secondario rispetto alla sua esistenza, ed al conseguente dimorare in esso della Presenza Divina. Sono proprio le nostre azioni che creano il Santuario. L’adempiere al comando della sua costruzione è un obiettivo di per se stesso. L’atto stesso della costruzione è il veicolo per la rivelazione della Presenza Divina. Si può dire quindi, che ciò che rende il Tempio la “Casa di D-O”, non è il fatto che Egli l’abbia scelto per dimorarvi, ma l’azione stessa del Popolo Ebraico che l’ha costruito e gli ha assegnato questo scopo. E come per la costruzione di un pozzo si rendono necessari ricerche, sforzi, fatica ed il superamento di ostacoli, così, perché il Tempio possa esistere in quanto dimora per la Presenza Divina, noi dobbiamo lavorare e sforzarci. Il dimorare della presenza Divina non è un dono sceso dal cielo. La Sua rivelazione richiede lavoro e fatica.

Il Terzo Tempio risulterà dal nostro sforzo
Perché la Torà collega lo scavo dei pozzi, e per allusione la costruzione del Tempio, proprio ad Izchak fra i nostri Patriarchi? È noto, come è detto nel Talmùd, che il mondo si regge su tre pilastri: atti d’amore e benevolenza, preghiera e Torà. È altrettanto noto che ciascuno dei nostri Patriarchi incarna uno di questi pilastri:  Avraham è collegato agli atti d’amore e benevolenza, Izchak alla preghiera e Yacov alla Torà. La preghiera, in ebraico, è anche chiamata avodà (lavoro, servizio). Essa rappresenta infatti il ‘servizio del cuore’. Oggi, il servizio del cuore sostituisce quello del Tempio. Per servire D-O adeguatamente è richiesto sforzo e lavoro per la costruzione di se stessi. Si deve scavare a fondo, per così dire, per creare in se stessi un luogo dove la sorgente dell’Acqua Vivente, della forza vitale Divina dell’anima, possa rivelarsi e divenire accessibile. È questo per noi, oggi, il lavoro dello scavare dei pozzi di Izchak. I primi due Templi, in quanto costruzioni ad opera dell’uomo, poterono essere distrutti. Il Terzo Tempio sarà una costruzione ad opera del cielo e per questo sarà eterno. Come avviene la sua costruzione? Attraverso la ricerca, lo sforzo e lo ‘scavo’ del Popolo Ebraico. Durante il lungo periodo dell’esilio, la disponibilità all’auto-sacrificio che il popolo Ebraico ha così tante volte dimostrato ed attuato è servito come ‘materiale da costruzione’ per il Terzo Tempio celeste. L’auto-sacrificio di fatto, si dimostra nei momenti di oppressione; ma la dedizione ai comandamenti di D-O si attua anche nei tempi di benessere materiale, quando gli ostacoli all’osservanza della Torà assumono una forma differente, come quella delle tentazioni materiali o dello scherno del prossimo. Quando l’individuo non pensa a se stesso, ma si concentra completamente sul compito di costruire il ‘pozzo’, di costruire una dimora per la Presenza Divina, questo sarà il vero servizio Divino, la vera Avodà. L’Ebreo diviene così un servo di D-O ed un veicolo per la rivelazione del Divino. In questo modo, noi non solo costruiamo il Terzo Tempio in Cielo, ma lo portiamo anche qui giù, nella realtà terrena, dove potremo nuovamente offrire sacrifici, con la venuta di Moshiach.

(Basato su Likutèi Sichòt vol. 30, pag. 116 – 124)

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