Simchà Pubblicato il 23 Febbraio, 2023

La Simchà, la gioia, non è solo una piacevole sensazione, che risulta dall'accadere di un qualche fatto particolarmente positivo. La gioia è la chiave capace di aprire la porta della Gheulà, è uno strumento di potenza eccezionale, quando rappresenta la consapevolezza del nostro legame con D-O  .

 

   Entrando nel mese di Adar, si aumenta la gioia. Se questo è dunque il mese della gioia per eccellenza, è bene cogliere il momento per comprendere meglio cosa sia la gioia, perché ci sia richiesta e come ci si arrivi. Dalla distruzione del primo e del secondo Tempio, il Popolo d’Israele vive nel buio dell’esilio. Da allora una gioia completa non ha posto per l’Ebreo. In ogni occasione egli deve ricordare il dolore della distruzione, dell’allontanamento della rivelazione Divina dal mondo. L’Ebreo, infatti, potrà provare una gioia profonda e completa solo quando l’unità della sua anima con la sua Fonte, sarà rivelata nel mondo, nella Gheulà, ed ogni separazione sarà scomparsa. Allora la sua bocca potrà riempirsi di risa (“Az imalè schòck pìnu“, salmo 126).

  Questo non vuol dire che all’Ebreo non sia richiesta la gioia. HaShem infatti ci chiede di servirLo con gioia, una gioia, però, limitata. Ed ecco che il Rebbe, qui, ci apre una porta completamente nuova. Il Rebbe ci dice che, oggi, tutti i preparativi per la rivelazione finale sono stati ormai completati e che resta incomprensibile il motivo per cui Moshiach ancora non arrivi. Tutto è stato ormai fatto e tentato. Una cosa sola non è stata ancora fatta, e cioè il servizio della gioia rivolto di per sé e completamente al solo scopo di fare arrivare Moshiach (vedi discorso del Rebbe di Shabàt parashà Ki-Tezè, 5748). Ma è possibile, ed è persino “etico”, davanti a tutte le sofferenze che il Popolo d’Israele vive in questa epoca così difficile, essere pieni di gioia?

     La gioia che noi conosciamo ed alla quale, in genere, ci riferiamo non è la stessa gioia alla quale il Rebbe si riferisce. Questa gioia, che il Rebbe ci richiede non è la conseguenza di qualche cosa che ci rallegra, né quindi può essere eliminata da ciò che ci rattrista. E’ una gioia di per sé, che ha il potere di rivelare il Divino nel mondo. Come? La Gheulà è la rivelazione del Divino nel mondo. L’uomo triste è chiuso, i suoi tesori nascosti non si rivelano, tutto resta oscuro ed inaccessibile. L’uomo pieno di gioia è aperto, esprime e rivela tutto il bene che ha dentro. Tutto ciò riguarda anche HaShem. Perché Egli si riveli, deve trovarsi in una condizione di gioia, e noi abbiamo il potere di creare questa condizione. Dentro di noi, infatti, nella nostra anima, vi è una parte di D-O stesso, la nostra anima Divina, e, quando attiviamo in noi stessi la gioia, D-O stesso è parte di questa gioia, e si rivela.

    Come è possibile, allora, arrivare a questo tipo di gioia? Quando noi, meditando, arriviamo a comprendere ed a sentire come tutto sia Divinità, e come nulla avvenga per caso, come tutto rientri in un progetto, del quale forse non capiamo le fasi, ma di cui senz’altro conosciamo lo scopo finale, ci sarà più facile interpretare positivamente le fasi di passaggio, che ci appaiono più dure. Le potremo infatti vedere come, appunto,  fasi di passaggio, tappe necessarie di una salita, di una elevazione, che nella Gheulà finale riveleranno la loro positività , anche se oggi, ai nostri occhi limitati, esse appaiono come una caduta, una discesa.

     Per capire, immaginiamo di essere dietro un enorme arazzo e di sentire i commenti estasiati di chi vi sta di fronte, e che noi non vediamo. Per ogni sfumatura di colore, per ogni particolare dell’immagine rappresentata, l’osservatore si lascia sfuggire un’esclamazione di ammirazione, mentre noi non riusciamo a capirne l’entusiasmo. Davanti ai nostri occhi, infatti, si presentano solo fili disordinati che escono, formando un’immagine senza senso e priva di ogni bellezza. D’un tratto, però, l’arazzo viene girato e noi, finalmente, vediamo… e capiamo. Questa è la Gheulà. Ogni filo che usciva, disturbando la vista, prende ora, per noi, il suo significato e spiega come la sua presenza fosse un elemento indispensabile, per realizzare l’assoluta bellezza e perfezione dell’arazzo.

     Oggi ci viene chiesto di credere in ciò, ancora prima di vedere, e la gioia che accompagna questa completa fiducia e sicurezza, ha la forza di farci aprire gli occhi e di vedere. Vedremo allora quello che il Rebbe cerca di dirci ed al quale cerca di prepararci, e cioè che: “Noi siamo adesso nel sesto millennio, corrispondente al sesto giorno, vigilia del Sabato, dopo il mezzogiorno… secondo tutti i segni della redenzione, siamo proprio alle sue porte, come ha dichiarato l’Admòr HaRaiàz (il Rebbe precedente): ‘Il lavoro è già terminato, persino i “bottoni” sono stati “lucidati”…’…ecco che Moshiach viene, proprio adesso, subito… (parashàt Pinchàs, vigilia di Rosh Chòdesh Menachem Av 5751). Ed ancora: “…tutta l’opera si è ormai conclusa e completata e si è già pronti ad accogliere il nostro giusto Moshiach. Poiché nella nostra epoca non ci sono ormai più ostacoli né impedimenti, quella di Moshiach non è più solo una realtà, bensì una rivelazione vera e propria. Ora non rimane che accogliere concretamente il nostro giusto Moshiach.”( parashàt Vaierà, 5752).

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