Il lavoro dell’Ebreo Pubblicato il 3 Marzo, 2024
Chi stabilisce se e quanto un Ebreo dovrà guadagnare è solo D-O, e quanto più l'uomo si atterrà alla Sua volontà, quanto più la benedizione dall'Alto gli elargirà tutto quello di cui egli ha bisogno ed anche di più.
“Per sei giorni si farà il lavoro”
Nella parashà Vayakèl si racconta di come Moshè abbia radunato tutto il popolo d’Israele ed abbia iniziato a trasmettere loro gli ordinamenti riguardo l’osservanza del Sabato. Fra gli altri, compare il verso: “Per sei giorni si farà il lavoro, ma il settimo sarà un giorno santo per voi; è uno Shabàt di assoluta cessazione (dal lavoro) in onore dell’Eterno”. Da questo verso i nostri Saggi impararono che non solo l’osservanza del Sabato è una mizvà, ma anche il lavoro svolto nei sei giorni feriali è una mizvà: “Come ad Israele fu dato il precetto positivo di osservare il Sabato, così è stato dato loro il precetto riguardante il lavoro.” Il lavoro che l’uomo compie, infatti, quando è svolto nel rispetto della Torà, va considerato anch’esso una parte del servizio Divino.
È come se si facesse da sé
Questo verso, però, allude anche a come l’Ebreo si deve relazionare al lavoro, che egli svolge durante la settimana. Rivolgendosi direttamente a tutto il popolo, infatti, sarebbe stato più naturale che Moshè avesse detto loro: “Per sei giorni farete il lavoro”. Ma egli non disse “farete”, egli disse “si farà”. Quando noi diciamo a qualcuno “fai”, intendiamo con ciò che costui deve ‘entrare’ nella cosa e farla. Quando invece diciamo “si farà”, viene a significare che la cosa si fa praticamente da sé, senza che ci sia bisogno per l’uomo di investire in essa tutte le sue forze.
“La fatica delle tue mani”
E questo è ciò che di fatto la Torà vuole insegnarci: è vero, bisogna lavorare per sei giorni alla settimana, è persino una mizvà essere impegnati in un’attività lavorativa. Non bisogna, però, investire nel lavoro tutto il proprio pensiero, tutta la propria testa, tutta la propria persona. L’Ebreo deve ricordare sempre che il lavoro non è lo scopo della vita, ma solo un mezzo per il sostentamento. La vita vera è quella dello spirito, lo studio della Torà, la preghiera, l’impegno nell’osservanza delle mizvòt e negli atti di bontà. Questo concetto è alluso anche dal verso: “Quando mangi della fatica delle tue mani, la felicità ed il bene siano con te!” (Salmi 128, 2) L’accento qui è sulla “fatica delle tue mani”. Solo le mani, cioè, la capacità di azione va investita nell’attività e nel lavoro, mentre la testa ed il resto della persona devono conservarsi libere di occuparsi della Torà e del servizio Divino. Quando l’Ebreo si comporta così, egli merita che “la felicità ed il bene siano con te!”
Che lo Shabàt sia Shabàt
A chi domanderà: “Se non mi impegnerò nella mia attività con tutta l’anima e con tutte le forze, chi mi garantisce una buona riuscita?”, si dovrà rispondere che è necessaria anche la fede nel Santo, benedetto Egli sia. L’Ebreo, di fatto, crede che, alla fine, il suo sostentamento gli arrivi da D-O. Il compito dell’uomo è quello di preparare un ‘recipiente’ che sia in grado di ricevere la benedizione Divina, e per questo egli deve essere occupato in una attività lavorativa; ma chi stabilisce se e quanto egli dovrà guadagnare è solo D-O. Stando così le cose, quando D-O dice che l’Ebreo non deve investire tutto se stesso nel suo lavoro, si comprende da ciò che la via per ricevere la benedizione Divina e rendere stabile e solida la propria attività è proprio quella di fare la volontà di D-O, e non il contrario. Chi vuole vedere quindi successo nelle proprie attività, deve guardarsi dall’investire in esse tutta la propria persona, poiché questa è la volontà di D-O e proprio in questo modo Egli darà la Sua benedizione. Quando l’Ebreo lavora per i sei giorni della settimana secondo le indicazioni della Torà, anche il suo Sabato sarà differente. Egli non avrà alcuna difficoltà a dedicare le facoltà della sua anima alle cose spirituali, e non penserà tutto il tempo al suo lavoro di tutti i giorni. Egli vivrà così una vera vita Ebraica, sia nei giorni lavorativi, sia, e quanto più, nel Sabato.
(Likutèi Sichòt vol. 1, pag 187)
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