L’essenza dello scopo della Creazione Pubblicato il 17 Gennaio, 2024

Dall'uscita dall'Egitto è possibile comprendere quale sia il nostro compito nel mondo, per attuare lo scopo della sua creazione.  

 

   La particolare importanza della parashà Bò, deriva dal fatto che essa tratta dell’uscita, di fatto, del Popolo d’Israele dall’Egitto. Il primo, e più importante, dei Dieci Comandamenti è quello di credere in D-O, come è scritto: “Io sono il Signore, D-O tuo, che ti feci uscire dalla terra d’Egitto.” Esso è il comandamento più importante, poiché se non si crede in Colui che comanda, non vi è motivo per attuarne i Comandamenti. Ci si potrebbe, forse, chiedere perché D-O non abbia semplicemente detto: “Credi in Me”. Oppure, perché non disse qualcosa di ancora più elevato, come: “Io sono D-O, che ha creato l’intero universo, incluso l’Egitto!”? Da qui noi possiamo comprendere che vi è, nell’esodo dall’Egitto, qualcosa di persino più importante della creazione dei cieli e della terra, qualcosa che è essenziale per la fede dell’Ebreo. I cieli e la terra, infatti, sono parte della creazione, mentre l’esodo è lo scopo della creazione. 

   Par’ò (Faraone) rappresenta la creazione, potente, splendida, piena di piaceri, ma senza reale significato. Quello che si può avere, oggi, subito, e che domani, già non c’è più. Questa è la ragione per cui Par’ò fu così testardo e rifiutò di ammettere che vi sia un Re dell’Universo. Par’ò contiene le stesse lettere della parola oref, che, in Ebraico, significa ‘nuca, la parte posteriore del collo’, il che implica due aspetti: (1) egli non vuole avere nulla a che fare con il ‘volto’ di D-O, e cioè, con la dimensione interiore della Divinità, la santità; (2) egli, come il collo, si pone fra la testa, e cioè fra ciò che è spirituale, ed il corpo, che rappresenta la parte fisica, materiale. Ciò spiega come mai gli Egiziani fossero un popolo molto spirituale e, allo stesso tempo, il più corrotto del mondo.  

   Par’ò è l’essenza dell’egoismo. Vi è in ciò, qualcosa che spiega il verso: “D-O creò l’uomo a Sua immagine”. Ogni uomo, cioè, si sente come D-O: ‘Io sono l’unica reale esistenza; io faccio tutte le leggi, tutto esiste solo per me, ecc.’. Questa sensazione dell’ “Io” è la fonte di ogni male. Vi è qui una nozione molto profonda, che è spiegata nel primo capitolo del libro del Tanya: ‘bene’ è tutto ciò che rivela il Divino, come per esempio l’Ebraismo; ‘male’ è tutto ciò che cela o nasconde il Divino, come, per esempio, l’egoismo. Alla domanda, che può sorgere, allora, – ‘Come è possibile che qualcosa nasconda il Divino? Non è D-O onnipotente e onnipresente? – si può rispondere: “Vieni da Par’ò”. In altre parole, questo è il segreto più profondo che esiste, il paradosso più grande e la sfida più grande, e questo è ciò che D-O rivelò a Moshè nella parashà di questa settimana. Questo è il segreto che sta dietro al potere di Par’ò e all’Egitto: esse sono creazioni che hanno il ‘potere’, per così dire, di coprire ed opporsi a D-O Stesso.  D-O, infatti, non può, per così dire, combattere da solo questi poteri (senza cambiare, cioè, in questo modo, l’intero carattere della Creazione). Egli ha bisogno dell’aiuto di Moshè e del Popolo Ebraico. 

   Questo è l’insegnamento pratico, che si ricava dalla nostra parashà (ci si potrebbe, infatti, meravigliare altrimenti, della necessità di un’apposita parashà, solo per la descrizione delle ultime tre piaghe). In questa parashà D-O mostra a Moshè l’essenza dello scopo della Creazione, il segreto dei segreti: Egli dà a Moshè la forza di portare il Popolo Ebraico a trasformare se stesso e l’intero mondo, in santità. È questo il reale significato del primo dei Dieci Comandamenti: “Anochì (il vero “Io”) è il tuo D-O, Che ti porterà fuori dall’Egitto (il falso “Io”).” In altre parole, questo è il vero significato della fede in D-O: il sentire che l’unico modo per trasformare la Creazione in santità, di uscire dall’Egitto, è per mezzo della fede in D-O…e nel Suo servo, Moshè. Noi dobbiamo ricordare che, senza Moshè, il Popolo Ebraico non sarebbe mai uscito dall’Egitto. Quello che, allora, D-O dice qui veramente, è: “nonostante voi abbiate visto Moshè condurvi, in realtà ero Io,” Moshè è, di fatto, la Divinità in azione. Questo è il significato di ciò che è detto, nell’ultima parte della Torà (Deut. 33:1): “Moshè, uomo del Signore”. La fede in Moshè, la fede in D-O e l’uscita dall’Egitto sono inseparabili; non può esservi l’una senza l’altra.  

  Ciò spiega, perché D-O disse agli Ebrei di circoncidersi e di sacrificare un agnello, prima di lasciare l’Egitto: entrambi questi atti, infatti, richiedevano auto-sacrificio e completa fiducia in D-O. Il sacrificio dell’agnello comportava il prendere uno degli idoli degli Egiziani, tenerlo legato per quattro giorni, per poi ucciderlo, davanti ai loro occhi, senza temerne le conseguenze. La circoncisione significava infliggersi una ferita, proprio poco prima di intraprendere un arduo viaggio, a piedi, nel deserto. L’unico modo, infatti, per essere veramente attaccato a D-O ed a Moshè, Suo servo, è tramite l’auto-sacrificio e la completa fede nei Comandamenti del Creatore. Solo allora la Torà ha veramente significato e potere sufficienti per condurre qualcuno fuori dall’Egitto. È detto nei Profeti, che i miracoli operati da Moshiach saranno ancora più grandi di quelli di Moshè. Il Rambam, invece, dice che Moshiach non ha bisogno di compiere miracoli. In verità, non vi è qui una vera discrepanza; Moshiach porterà ogni Ebreo a credere ed aver fede in D-O (il primo dei Dieci Comandamenti), cosa che, neppure Moshè riuscì a fare con i suoi miracoli. È questo il lavoro del Moshè della generazione, del Rebbe: portare ogni Ebreo fuori dall’Egitto ed insegnargli come usare la Sua Torà per cambiare il mondo. Questo è ciò che Moshè ricevette in questa parashà: il potere di preparare il mondo per la venuta di Moshiach.

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