L’unità del popolo Pubblicato il 4 Marzo, 2024

L'unione del popolo Ebraico è un potenziale attivo, e non uno stato passivo. Lo stabilire un'unità fra il nostro popolo stimola la manifestazione dell'unità Divina in tutta l'esistenza.  

Un intero che supera le proprie parti

La lingua Ebraica non manca di sinonimi e vi è un certo numero di altri verbi che avrebbero potuto essere scelti per iniziare il verso: “E Moshè fece riunire l’intera adunanza dei Figli d’Israele”, che introduce la parashà Vayakèl. Il termine che la Torà impiega, Vayakèl, è significativo, poiché implica la fusione di persone in un kahal, una collettività, un’entità comunitaria che va ben al di là di un assembramento di individui. Un gruppo che si incontra può anche dividersi, ed anche quando è insieme, la loro unione non è completa. Una collettività invece (kahal), rappresenta un’entità comunitaria eterna, che prende gli individui al di là della loro identità personale, e li unisce in una nuova struttura, evidenziando il legame fondamentale che li unisce. Moshè radunò il popolo perché facesse delle offerte per la costruzione del Santuario, poiché il Santuario non poteva essere costruito dalle risorse private di ogni individuo. I fondi dovevano essere piuttosto donati dalla collettività e da questa il Santuario doveva essere costruito. L’unità che il Santuario veniva a stabilire in questo modo fra gli Ebrei, si estendeva al punto da toccare anche i loro averi. Per natura, noi tutti ci preoccupiamo per ciò che possediamo; i nostri Saggi hanno fatto diverse considerazioni sul perché “la persona è ansiosa riguardo alle sue proprietà”. I soldi, inoltre, sono anche spesso fonte di diatriba e disaccordo. In questo caso, invece, il popolo offrì volontariamente le proprie risorse, unendosi insieme nella costruzione di una struttura, il Santuario, che riflettèé la loro stessa unità.

Unità come dinamica

Il fatto che il Santuario fosse stato costruito dal popolo Ebraico in uno spirito di unità, fece sì che la struttura nel suo insieme fosse permeata di unità. Ciò si rifletté nel fatto che la costruzione dei differenti elementi del Santuario (ed in seguito del Tempio), come l’Arca, l’altare, il candelabro, ecc., non fossero da considerare come mizvòt separate, ma piuttosto come parte dell’incarico più globale di costruire una dimora per D-O. Nonostante ognuno di questi elementi fosse una struttura separata, la sua identità individuale era subordinata a quella del Santuario come un intero. La Presenza Divina si rivelava nel Santuario. Lì risultava manifesta l’evidenza che il mondo è la Sua dimora, e che tutti i diversi elementi dell’esistenza sono permeati dalla Sua unità. E dal Santuario, la luce si propagava attraverso il mondo, diffondendo questa consapevolezza. Ciò conduce ad un secondo concetto; gli Ebrei sono una “nazione unica sulla terra” (2 Samuele 7:23). Ciò implica che essi sono legati insieme da un’unità interiore, e questa permette loro di diffondere l’unità di D-O nel mondo in generale. Questo, poiché l’unione del popolo Ebraico è un potenziale attivo, e non uno stato passivo. Lo stabilire un’unità fra il nostro popolo stimola la manifestazione dell’unità Divina in tutta l’esistenza.

Da dentro verso l’esterno

Cosa motiva il nostro popolo ad elevarsi al di sopra dell’identità individuale di ciascuno? Il richiamo di Moshè Rabèinu. Moshè Rabèinu era l’epitome di ciò che va al di là di se stesso. Egli non si preoccupava in alcun modo di se stesso; ogni aspetto del suo essere era dedicato agli altri. E per questo egli era in grado di instillare questa capacità negli altri. Moshè è descritto come “un pastore di fede”. Egli infuse il popolo Ebraico di conoscenza, permettendo loro di stabilire un’armonia all’interno delle diverse dimensioni del loro essere. Una storia può illustrare il concetto: Rav Zalman Aharon, il figlio maggiore del Rebbe Maharàsh (il quarto Rebbe di Chabad), chiese un giorno a suo zio, Rav Yosef Izchak, se egli recitasse le sue preghiere in pubblico, e cioè all’interno di una congregazione (di almeno dieci Ebrei). Rav Yosef Izchak rispose affermativamente. Il giorno dopo, però, rav Zalman Aharon notò che suo zio si dilungava nella preghiera, indugiandovi molto più a lungo del resto della collettività. “Ma non mi avevi detto che pregavi con il pubblico?” gli chiese. “Ed è quello che faccio” rispose lo zio. “Con il pubblico, letteralmente, significa ‘con la collettività’. Dopo aver radunato insieme le dieci componenti della mia anima, io prego.” Simili sforzi sono indispensabili per stabilire l’unità fra il nostro popolo, come un intero. Quando infatti una persona sviluppa un’armonia interiore, egli sarà più aperto agli altri e desideroso di relazionarsi a loro in modo paritario. E ciò farà sì che emerga alla superficie il legame interiore di unità, che tutti gli Ebrei condividono. Il servizio Divino della persona inizia dal radunare insieme i diversi aspetti del suo stesso essere. In seguito, egli si riunisce insieme ad altri uomini, e dopo ancora, egli estende questa unità fino a comprendere ogni elemento dell’esistenza, dimostrando così come l’intero mondo non esiste altro che per rivelare la gloria Divina.

L’adunata finale

L’espressione più completa di questa unità avverrà nell’Era della Redenzione, quando “una grande congregazione (kahal gadol) ritornerà qui” (Geremia 31:8), Ebrei da tutto il mondo affluiranno insieme alla Terra d’Israele. Quest’adunanza sarà più di un fatto geografico. D-O “ci radunerà dai quattro angoli del mondo” stabilendo unità ed armonia fra di noi. E quest’unità comprenderà tutta l’esistenza, “il mondo sarà riempito della conoscenza di D-O, così come le acque coprono il mare” (Isaia 11: 9). Queste non sono solo promesse riguardanti il futuro, ma possibilità che possono essere anticipate nel presente. Le ondate di immigrazione di massa, che hanno raggiunto la Terra d’Israele negli ultimi anni, sono presagi evidenti del raduno finale dei nostri dispersi. E come una dimensione fisica della Redenzione è così stata anticipata, esiste anche la possibilità per noi di gustare un pre-assaggio dei suoi elementi spirituali. Noi abbiamo la possibilità di fondare una nuova dimensione di armonia dentro di noi e diffondere questa armonia fra gli altri. E anticipando la Redenzione, noi ne affretteremo anche la sua venuta, rendendola una realtà, ancora più presto.

(Adattato da Likutèi Sichòt, vol. 21, pag. 250; Sefer HaSichòt 5749, pag. 292; Shabàt parashà Vayakèl, 5752)

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