Moshè e Moshiach Pubblicato il 20 Febbraio, 2024

Noi dobbiamo ricordarci che vi è una "scintilla di Moshiach" in ogni Ebreo. La "scintilla di Moshiach" presente in ogni Ebreo richiama e riflette la "scintilla di Moshè" compresa in ogni Ebreo e il leader della generazione viene chiamato sia Moshè della generazione che Moshiach della generazione.

 

 

 

 

Moshè e Moshiach
La Torà è il “modello della creazione”, ed essa insegna non solo i principi generali dell’esistenza, ma ne illumina anche i dettagli più nascosti. L’avvenimento storico che segnerà la trasformazione più grande di tutta l’esistenza sarà l’avvento di Moshiach. L’era della Redenzione, infatti, è la meta e lo scopo stesso della creazione. Questo periodo di prosperità universale e di consapevolezza spirituale avrà inizio con i conseguimenti che Moshiach porterà. La Torà descrive non solo che cosa Moshiach farà, ma anche che tipo di persona dovrà essere. La Torà ci dà uno specifico profilo della personalità di Moshiach. Nella parashà Tezavvè, la Torà ci dà un’immagine del più essenziale fra gli attributi di Moshiach. Inoltre, nell’analizzare questa lettura della Torà, noi dobbiamo ricordarci che vi è una “scintilla di Moshiach” in ogni Ebreo. L’anima Divina, che ogni Ebreo possiede, lo unisce ad ogni altro Ebreo, incluso Moshiach. Ogni azione di Moshiach, quindi, ci riguarda personalmente. Il prototipo di Moshiach è Moshè e spesso i nostri Saggi accomunano Moshè a Moshiach, il primo redentore all’ultimo. La “scintilla di Moshiach” presente in ogni Ebreo richiama e riflette la “scintilla di Moshè” compresa in ogni Ebreo. Il leader della generazione viene chiamato sia Moshè della generazione che Moshiach della generazione.

Il compito di Moshè
Con questa introduzione noi possiamo ora passare ad analizzare le caratteristiche uniche di questa parashà. “Ve ata tezavvè” significa “E tu comanderai”. D-O dà a Moshè il compito di comandare al popolo Ebraico alcune regole riguardanti il Tabernacolo: la procedura per l’accensione della menorà, i dettagli delle vesti sacerdotali, la consacrazione di Aharon e dei suoi figli al sacerdozio e la costruzione dell’altare per l’incenso. La caratteristica più insolita di questa parashà però, è che essa è l’unica, dalla nascita di Moshè fino al suo ‘discorso di addio’, che non menziona il suo nome, la qual cosa fa nascere tre domande. Perché vi è una parashà che non include il nome di Moshè? Perché in particolare proprio questa parashà? Qual’è la connessione fra l’assenza del nome di Moshè ed il contenuto della parashà? E per finire, cosa ci insegna ciò sulla natura di Moshiach in generale, e sulla “scintilla di Moshiach” che vi è in ciascuno di noi, in particolare? Per rispondere alla prima domanda: quando Moshè supplica D-O di risparmiare il popolo Ebraico dopo il peccato del Vitello d’Oro, egli asserisce che, se D-O non perdonerà il popolo, in quel caso “cancellami dal Tuo Libro che Tu hai scritto”. Se D-O non perdonerà il popolo, Moshè chiede di essere eliminato dalla Torà! Nonostante questo ultimatum fosse sottoposto ad una condizione, dal momento che fu pronunciato da un Giusto, da Moshè, esso dovette realizzarsi, almeno in una qualche forma. Così il nome di Moshè fu cancellato da una parashà. Perché però proprio da questa? Se studiamo più a fondo la parashà Tezavvè, noi vediamo che, nonostante il nome di Moshè non compaia, la sua presenza è costantemente percepibile. Molti versi parlano di lui, a partire da “E tu comanderai”. In Ebraico la parola usata per comandare, significa sia ‘comando’ che ‘collegamento’. Di fatto, quindi, D-O dice qui a Moshè non solo di comandare il popolo Ebraico, ma, tramite ciò, anche di collegarlo a D-O. D-O non usa il nome di Moshè, poiché il nome è un qualcosa di esteriore, usato come riferimento per qualcun’altro. Noi non abbiamo bisogno infatti del nome quando ci rivolgiamo a noi stessi. Quando l’essenza si rivela, il nome diventa irrilevante. È così quindi che D-O istruisce Moshè: con la tua essenza, con la natura stessa che ti costituisce, comanda il popolo Ebraico e collegalo a Me.

Moshè e il popolo d’Israele
Qual’è l’essenza e la natura di Moshè? La Torà. Il suo stesso essere era legato alla Torà. Eppure Moshè era pronto a rischiare la sua stessa essenza per salvare coloro le cui azioni (la costruzione del Vitello d’Oro) costituivano il massimo rinnegamento della Torà. La Torà dice infatti: “Non avrai altre divinità”, ed essi avevano costruito un idolo! Come poté Moshè essere pronto a sacrificare la sua stessa essenza, a rinunciare alla Torà che costituisce il suo stesso essere, per degli Ebrei che avevano rinnegato e violato volontariamente la Torà? La risposta è che “Moshè è Israele e Israele è Moshè”. L’unità di Moshè con il popolo Ebraico è più profonda e molto più fondamentale della sua unità con la Torà. Quest’unione è così fondamentale che la loro discesa diviene la discesa di Moshè. Nonostante Moshè non fosse stato in alcun modo coinvolto nel peccato del Vitello d’Oro, quando esso fu costruito D-O gli disse “scendi giù”. La sua grandezza era un’unica cosa con la loro. Moshè non poté rimanere sul monte con la Torà, mentre il popolo Ebraico aveva peccato. Neppure la Torà poteva separare Moshè da Israele.

Il vero leader della generazione
Ciò spiega la caratteristica essenziale del leader di ogni generazione, che è il Moshè della propria generazione. Nonostante la grandezza dei nostri rabbini e delle nostre guide si fondi sulla loro erudizione e padronanza della Torà, resta il fatto che “il leader della generazione è come tutta la generazione”. Il leader è un’entità unica con il popolo. Un vero leader, il vero Moshè, il vero Moshiach della generazione non abbandonerà e non potrà mai abbandonare alcun Ebreo. Il suo stesso essere ed essenza sono completamente uniti e legati persino al più grande peccatore, all’Ebreo che costruisce un Vitello d’Oro e, D-O non voglia, diviene un idolatra. L’attributo essenziale di Moshè è il suo auto-sacrificio. Questo è l’attributo fondamentale di un vero leader della generazione, di Moshiach stesso. Nonostante Moshè sia pronto a rinunciare a qualsiasi cosa per la Torà, egli è pronto a rinunciare anche alla Torà stessa per qualsiasi Ebreo, ed anche e in particolare per il peggiore trasgressore. Questo, poiché se anche un Ebreo può peccare, egli rimane un Ebreo. La vera e più interiore essenza di Moshè, e di Moshiach, si rivela nell’auto-sacrificio senza compromessi per ogni Ebreo, anche il più lontano. Inoltre, poiché l’essere e l’essenza stessi di Moshè, e di Moshiach, sono una cosa sola con l’essere e l’essenza di ogni Ebreo, l’auto-sacrificio di Moshè, e quindi di Moshiach, rivela l’unità e l’unione essenziale del popolo Ebraico con D-O. Questa unità trascende persino il peccato del Vitello d’Oro, evocando perdono ed espiazione. L’auto-sacrificio è il primo stadio, l’inizio della Redenzione. Questa parashà tratta delle attività riguardanti Aharon ed i suoi figli. Tutte queste attività, l’accensione della Menorà, la preparazione delle vesti sacerdotali, la consacrazione di Aharon e dei suoi figli, la costruzione dell’altare per l’incenso, tutto ciò si svolse con l’aiuto e sotto la direzione di Moshè. Senza Moshè, il servizio nel Tabernacolo svolto da Aharon e dai suoi figli, nella loro carica consacrata, avrebbe riguardato solo coloro che osservano i precetti della Torà. Essendosi però attuata la consacrazione di Aharon tramite Moshè, le offerte di Aharon ricevettero il potere di espiazione per tutto il popolo Ebraico. E poiché ogni Ebreo possiede una “scintilla di Moshè”, una “scintilla di Moshiach”, anche noi dobbiamo procedere con auto-sacrificio, “mettendo da parte la nostra Torà”, i nostri interessi personali, per aiutare un altro Ebreo, per portarlo alla Torà con Ahavàt Israel, con l’amore per l’altro Ebreo. Tramite il nostro auto-sacrificio, al modo di Moshè, noi meriteremo l’avvento di Moshiach.

(Likutèi Sichòt, vol. 21. Pag. 173 – 180)

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