Si comincia dalla costrizione e si arriva alla consapevolezza Pubblicato il 31 Marzo, 2024
Nel profondo della sua anima, ogni Ebreo desidera servire D-O e prostrarsi a Lui, con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima.
“Questo è ciò che l’Eterno vi ha ordinato di fare e vi apparirà la gloria dell’Eterno” (Vaikrà 9:6)
La parashà Sheminì inizia con la descrizione dell’inaugurazione del Santuario e della rivelazione della gloria di D-O agli occhi di tutto Israele. Una descrizione simile compare anche riguardo all’inaugurazione del Tempio da parte del re Shlomò, dove è detto: “E tutti i Figli d’Israele, avendo visto la discesa del fuoco e la gloria del Signore nel Tempio, si chinarono con la faccia a terra fino al pavimento e si prostrarono lodando il Signore Che è buono ed eterna è la Sua bontà” (Cronache 2, 7:3). Questo verso descrive il prostrarsi del popolo d’Israele nel Tempio. Per quanto fosse lì, che i Figli d’Israele si prostravano, proprio fino a terra, questo servizio Divino del prostrarsi ed annullarsi davanti a D-O, esiste comunque anche oggi, in senso spirituale, nel servizio di ognuno di noi.
Il mondo nasconde
La Torà descrive tre livelli di questo prostrarsi. Quello più elevato è quando vediamo “la discesa del fuoco e la gloria del Signore nel Tempio”, e da ciò deriva il prostrarsi e l’annullarsi davanti a D-O. Si tratta di una condizione in cui l’uomo percepisce la grandezza di D-O, al punto di averne una visione concreta ed è questa consapevolezza profonda che lo porta ad annullarsi a D-O e risveglia in lui la volontà di servirLo con tutto il cuore e con tutta l’anima. D’altro lato, esiste la condizione in cui la rivelazione Divina non risplende nell’anima dell’uomo. Egli non vede e non sente la grandezza di D-O e il mondo fisico e materiale nasconde ai suoi occhi la verità Divina. Tuttavia, egli costringe ugualmente se stesso a prostrarsi davanti a D-O, nel senso che egli serve D-O con un auto-imposizione interiore, che va contro la sua volontà naturale.
Noi non vediamo
In generale, questa è la differenza tra l’epoca del Tempio e i giorni dell’esilio. Quando esisteva il Tempio, la rivelazione della Presenza Divina era evidente agli occhi del popolo. I nostri Saggi dicono che, quando i Figli d’Israele salivano in pellegrinaggio al Tempio, venivano non solo per ‘comparire’ lì, ma anche per ‘vedere’ la luce della Presenza Divina che illuminava manifestamente. Nel tempo dell’esilio, invece, dominano il buio e l’ascondimento. Non vi è una rivelazione percepibile della verità Divina. Non si vedono miracoli e prodigi come all’epoca del Tempio. Tantomeno “possiamo salire in pellegrinaggio e comparire e prostrarci davanti a Te” (dalla preghiera di Mussàf dei giorni di Festa). Non possiamo venire e prostrarci, come risultato del fatto di vedere la Presenza Divina, ma possiamo solo prostrarci perché lo imponiamo a noi stessi.
Nel profondo dell’anima
Esiste però anche una terza condizione, nella quale all’inizio, effettivamente, non vi è rivelazione Divina e si rende necessaria un’auto-imposizione per prostrarci davanti a D-O, ma in questo costringere se stessi e servire D-O, si inizia poi a sentire la santità Divina, fino ad arrivare poi al punto di servire D-O con una consapevolezza profonda, con desiderio e volontà. Questo modo di servire D-O appartiene ad ogni Ebreo. Anche chi non prova alcun desiderio o volontà di prostrarsi a D-O, può costringersi a farlo e annullarsi a Lui, e se perseverà in ciò, scoprirà alla fine, in modo chiaro e percepibile, che nel profondo della sua anima egli, sì, desidera servire D-O e prostrarsi a Lui, con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 27, pag. 56)